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Martedì, 23 Aprile 2024
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“Stanotte sono un’altra”. Candida e accattivante Chelsea Hodson

Riferimenti espliciti all’arte di Marina Abramovic e impliciti a quella di Vanessa Beecroft nella raccolta di saggi lirici di Chelsea Hodson: “Stanotte sono un’altra” (Pidgin Edizioni, Collana Dissestazioni)

Stanotte sono un’altra (Pidgin Edizioni, traduzione di Sara Verdecchia) di Chelsea Hodson è una raccolta di saggi lirici autobiografici in cui l’autrice investiga le possibilità di disfatta, sempre in agguato in un mondo capitalistico, che si parli di amore, arte o consumismo. Le sue descrizioni minuziose soppiantano l’aspetto emotivo come se ci fosse una sorta di non affettività narrativa che rende la sua scrittura spericolatamente curiosa e scevra da ogni paura.

Come faccio a fidarmi del vero amore, se non riesco realmente a toccarlo? Posso toccare un corpo, un uomo, un viso, riesco persino a sentire un cuore che batte – quali altri segni di vita ci sono? Ma la corporeità non è amore. Dei lividi su una scapola, un corpo sul mio corpo, uno stipendio, una lettera d’amore: tutte innocenti manifestazioni di un disturbo della fame. Muoio di fame finché non riesco più. Amo fino alla morte.

Hodson confessa così la sua fame da bue, la sua bulimia, un binge loving disorder che nasce dal bisogno di essere amata e che la porta ad amare eccessivamente.

Una volta ho amato così intensamente da perdere quasi tutto, persino la vita, persino la mia. Solo allora ho realizzato: forse la corporeità dell’amore è la morte stessa.

Questa frase fa pensare al verso della poesia Edge di Sylvia Plath: The woman is perfected. Her dead. Body wears the smile of accomplishment. Il raggiungimento della compiutezza, della perfezione per una donna avviene solo con la morte. E il pensiero di Hodson appare spesso tanatopratico, sempre sospeso sul filo impercettibile che separa vita e morte.

L’affettività di Hodson è quella di un’adolescente incastrata in uno spettro di intimità tossica e urgente. Nel saggio Crimini minori il corpo dell’amica Bianca è catturato dallo sguardo curioso dell’autrice nei suoi momenti di trasformazione. Lei e Bianca sono due ragazze guidate da desideri che Hodson ancora non sente o non comprende. Ma il suo corpo sì, orbita attorno a modelli precisi, li interiorizza e sa già come dovrà essere in futuro.

In Una donna semplice Hodson in modo schietto, abile e pulito ricorda che quando faceva la modella le piaceva il modo in cui truccatori e parrucchieri sul set le accarezzavano il corpo, le spazzolavano i capelli, una cura quasi materna.

Quello che mi manca di più del fare la modella, oltre ai soldi, è il modo in cui mi toccavano sul set. C’era sempre qualcuno che mi aiutava a indossare i vestiti […] Mi manca il modo in cui un truccatore mi passava un pennello sul viso per applicare la cipria […] Mia madre mi toccava leggermente la testa o le braccia quando guardavamo la televisione insieme, e il tocco degli stilisti mi riportava a quei ricordi della mia infanzia.

In Pietà per l’animale oltre all’esplicito riferimento all’arte di Marina Abramovic - ad oggi uno degli esempi di arte contemporanea capace di raccontare al meglio non solo chi siamo, ma chi ci vergogniamo di essere - l’ammiccamento di Hodson al mondo della moda fa soprattutto pensare alla ricerca artistica di Vanessa Beecroft. I lavori di Beecroft rivelano infatti una visione del corpo femminile radicata nella contemporaneità, strettamente aderente ai canoni estetici promossi dalla moda, a un immaginario fondato sull’ossessione per la perfezione e sui desideri frenati.

Il saggio La fine del desiderio è una sequenza slegata di affermazioni taglienti e assertive, dichiarazioni istantanee della sua vita, frammenti di un album composto da polaroid narrative. Qual è dunque il senso del desiderio? Il desiderio di un nuovo paio di scarpe? di un abbonamento in una palestra alla moda? o di un viaggio in qualche parte del mondo? Ognuno di questi desideri ne cela uno più nascosto: quello di diventare altro. Che il consumismo sia guidato dal desiderio di diventare altro da sé non è di certo una novità, la novità nella raccolta di saggi di Hodson risiede nel modo in cui inchioda il desiderio, lo costringe a esprimere la sua portata, le sue origini e racconta cosa rappresenta per lei (e anche per noi) in modo progressivo.

Hodson non cerca di esorcizzare i desideri, li ascolta, li esplora e li plasma nella scrittura. La sua analisi non implica un giudizio morale, cosa che le permette di arrivare direttamente alla verità delle cose con maggiore acutezza e saggezza. Mette a nudo il desiderio unico che chiamiamo amore, e il modo in cui permane anche dopo che abbiamo ottenuto l'oggetto di quel desiderio, perché l'amore vive di volontà propria e nulla lo può scalfire.

Chelsea Hodson racconta esperienze significative della sua vita in relazione allo spazio sociale che il suo corpo occupa. Ci dice che un corpo è un oggetto e che tutti i corpi sono corpi immobili, celesti, terreni, crescenti, mutevoli, famosi, e che ognuno ha il suo potere, il suo fascino. Ogni corpo parla in modo diverso, ma tutti assomigliano a quello di Hodson.

Ciascuno saggio contribuisce a progettare un'opera verticale e Hodson si muove in questo condominio di parole usando un’impalcatura artistica, un telaio di ristrutturazione delle relazioni tra consumismo, desiderio, oggettivazione e arte stessa tra epifanie casuali e lucida autoconsapevolezza.

Hodson è una scrittrice senza maschera, candida e accattivante. La sua scrittura è distaccata, turbolenta e fluida.

Accanto alla copertina del libro, l’opera Longing (New York, 2018) di Annamaria Amabile.

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