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La tenace resistenza dei piccoli produttori di olio: convivere con la Xylella

In una provincia dove la batteriosi è da tempo considerata incontrollabile, alcuni segnali indicano la possibilità concreta di una strada che non porta necessariamente all'eradicazione e alla trasformazione del paesaggio

LECCE - Separati dai binari delle Ferrovie del Sud Est in un paesaggio tipico della campagna salentina, incardinato su reticoli di strade poderali che delimitano piccoli appezzamenti di terreno, due uliveti testimoniano un differente approccio al problema della Xylella fastidiosa, il batterio che ha travolto il patrimonio olivicolo attraverso il complesso del disseccamento rapido degli alberi.

Siamo in agro di Cursi. Oltre la strada ferrata si trova un fondo dove è stato effettuato il reimpianto con giovani ulivi, di varietà resistenti alla Xylella, distribuiti secondo una logica intensiva: grosso modo intercorrono due metri e mezzo tra una pianta e l’altra, mentre sono cinque quelli che dividono i filari. In un ettaro puoi così arrivare ad avere così 800 piante. Dal punto di vista dei processi di lavoro la conseguenza è la meccanizzazione.

Il primo raccolto di solito può esserci dopo due anni, ma ce ne vogliono diversi altri perché ci si avvicini alle quantità delle cultivar tradizionali che hanno una resa migliore. Serve poi molta acqua per rimettere in moto la filiera e questo è un altro grosso problema nel Salento perché in alcune falde è in corso un processo di salinizzazione, a causa delle sempre minori precipitazioni e dell’avanzamento del mare, mentre resiste un forte e diffuso pregiudizio in agricoltura verso il riutilizzo delle acque depurate. 

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Da questa parte dei binari, invece, le piante sono quelle originarie: colpite dal batterio ma produttive, in ottimo stato vegetativo. Sono sempre state trattate con amorevole cura dal proprietario, Enzo, un anziano signore che fa la spola con la zona dei Laghi Alimini, dove possiede altri terreni. Anche da quelle parti, peraltro, giungono buone notizie. L’ipotesi di eradicare gli alberi, incassando il relativo contributo, non lo ha mai persuaso. Esiste un rapporto affettivo in moltissimi piccoli proprietari: distruggere un uliveto significa cancellare la memoria della propria famiglia, dei sacrifici fatti.

Il suo fondo è la fotografia della regola aurea dell’olivicoltura, quella che si tramanda di generazione in generazione: un centinaio di ulivi per ettaro, perché la distanza tra le piante deve permettere ai raggi del sole e al vento di accarezzare i rami, perché tra il terreno che la alimenta e la pianta deve stabilirsi un equilibrio, al quale ha attentato, va ricordato, l’abuso di fitofarmaci e fertilizzanti che in provincia di Lecce ha toccato livelli preoccupanti.

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Quando la tempesta batterica ha dispiegato i suoi primi tangibili effetti, ciascuno si è affidato a una o più delle poche opzioni sul tavolo, dall’impiego di misture secondo pratiche tradizionali (rame, calce) a interventi drastici di potatura, fino alla capitozzatura. Non c’erano indicazioni chiare da parte della comunità scientifica, si navigava a vista. Si invocavano le buone pratiche agronomiche essenzialmente come strumento per rallentare la diffusione del batterio tramite insetto vettore, la sputacchina, ma per le piante colpite non c’era speranza che tenesse.

Le buone pratiche sono interventi periodici di “manutenzione” che, invece, già ben prima che la Xylella facesse la sua comparsa a queste latitudini, erano diventate sempre meno frequenti nella piccola proprietà, fino a limitarsi a due passaggi annuali: concimazione e raccolta e ogni tanto una potatura. Un atteggiamento di trascuratezza e approssimazione diffuso, certamente favorito dalla parcellizzazione dei fondi e dal progressivo abbandono delle campagne, che innegabilmente distingue il paesaggio olivicolo della provincia di Lecce al cospetto di quello del Brindisi e ancor più del Barese, dove i terreni sembrano così puliti da brillare.

Una parte del patrimonio olivicolo salentino è stata così letteralmente devastata dal batterio. Di quegli ulivi sono rimasti scheletri e negli ultimi due anni nemmeno quelli perché una serie infinita di incendi dolosi ha, per così dire, accelerato lo smaltimento della pratica: nel giro di poche ore ci si è liberati di quei tronchi morti e oramai ingombranti. Così facendo è più semplice e meno costoso eliminare del tutto anche la parte radicale.

Qualcuno come Enzo, tuttavia, non ha mollato la presa, ha “inseguito” il batterio ramo dopo ramo e, nonostante un evidente calo di produzione, è riuscito ad evitare il peggio e a tirare avanti senza mai alzare bandiera bianca. Poi, quando un amico di cui si fida ciecamente gli ha proposto l’impiego di NuovOlivo, un preparato naturale – finito anche al centro di tante polemiche - che può essere definito rigenerante e coadiuvante e che si applica due volte all’anno, ha accettato di provarci. Non è poi passato molto tempo perché iniziasse a toccare con mano dei progressi: “Ti sorridono adesso, le abbiamo prese in tempo”, dice indicando le piante. Il raccolto è andato bene.

Stesso sollievo si legge nel volto di Pippi, anche la sua una vita passata tra gli uliveti, sin dai tempi della scuola elementare: il suo, in realtà, è più simile a un giardino, tanta è la cura maniacale che ci mette. Ne ha 80 di piante di ulivo, per lo più ogliarole salentine e celline, oltre a qualche leccino. Ci sono anche alberi nati in un passato remoto (come quello nella foto, qui). Pippi è un riferimento nella zona, l’agro di Maglie, ed è un testimone ben informato di come negli ultimi anni le cose siano cambiate, decisamente in peggio: per trovare un frantoio aperto, per esempio, ora bisogna farne di strada, mentre prima bastava girare l’angolo di casa. E dalle tue olive non devi mai togliere gli occhi.

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Lui è un altro di quei piccoli proprietari che hanno deciso di resistere strenuamente, in una provincia dove la batteriosi è considerata già da anni incontrollabile, facendo venir meno anche l'obbligo di eradicazione delle piante infette e di quelle attorno. Pippi ricorda che all’inizio lo prendevano in giro, ritenendolo vittima dello stregone di turno. Oggi, invece, lo cercano per avere consiglio. Il suo ultimo bilancio è di un quintale e mezzo di olio prodotto. La fornitura di NuovOlivo gli è costata circa 5 euro a pianta. Soldi ben spesi, non ne dubita. Ma per un’azienda con migliaia di ulivi l’investimento sarebbe ancora giustificato in considerazione della già serrata concorrenza che spinge sempre più verso il basso il prezzo dell’olio?

A non molti chilometri, in prossimità del mare Adriatico, Mercedes e Antonio hanno messo su una struttura ricettiva molto bella, Masseria Prosperi, a misura di chi vuole trascorrere un soggiorno confortevole, sempre a contatto diretto con la natura. Cavalli e muli vagano pigramente tra gli ulivi, mentre poco distante è sistemata una fila di arnie dalla quale si ricava miele di prima mano. Si dice che le api siano uno degli indicatori più preziosi sullo stato di salute della biodiversità: qui un buon equilibrio sembra davvero garantito.

Fino a qualche tempo fa, il loro uliveto era messo molto male, ma la soluzione di eliminarlo non è stato mai presa in considerazione: è una questione anche di integrità di quel paesaggio, dice Mercedes (nella foto di apertura), che ai visitatori, in gran parte stranieri, piace molto, che rende il Salento agricolo diverso da molte altre mete, riconoscibile tra tante offerte in fotocopia. Dopo anni senza raccolto, i loro alberi sono tornati a produrre, non ancora come prima, ma in maniera significativa. Anche qui, il trattamento con NuovOlivo sembra funzionare.

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La volontà è quella di andare avanti, di continuare a produrre un olio extravergine che finisce anche a migliaia di chilometri di distanza. Con acquirenti ben disposti a pagare anche le non trascurabili spese di spedizione. La bontà si paga e, del resto, di questo passo l’olio extravergine di oliva del Salento è destinato a diventare sempre di più un prodotto di nicchia: poche persone sono ancora disposte a prendersi cura degli uliveti come si faceva una volta, a investire tempo e risorse, a inseguire la qualità quando tutti i fattori del mercato spingono verso un appiattimento del prodotto. Proprio in queste ore la Confederazione Italiana Agricoltori (Puglia) segnala un nuovo calo del prezzo base dell'olio extravergine di oliva riconosciuto ai produttori.

Enzo, Pippi e Mercedes non hanno certo intenzione di eradicare i loro alberi, anzi, ne aggiungono di altri, in nuovi spazi. Loro appartengono a quella categoria di piccoli produttori che hanno trattato gli uliveti come estensione delle proprie case e l’idea di un ristoro di 70 euro per ogni pianta eradicata non li seduce nemmeno un poco. Non ci sono certezze per il futuro, lo sanno, ma intanto si va avanti così con la ragionevole fiducia che deriva dall'aver imboccato una strada quando il tunnel sembrava senza uscita, l’olio, in fondo, è in tavola ed è anche molto buono.

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