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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Una riflessione

Già tre mesi ai domiciliari: Andrea Guido e il nodo delle esigenze di custodia

Accusato di aver intascato una mazzetta, nell'ambito di un'inchiesta napoletana, si è visto negare una prima istanza di revoca della misura cautelare. E rischia la detenzione domiciliare ancora per 90 giorni

LECCE – L’ultima inchiesta su corruzione e malaffare che ha sconquassato quella galassia piena di buchi neri che si trova tra politica e sanità, ha fatto riaffiorare l’indignazione generale di chi, legittimamente, si sente tradito, deluso, preso in giro dai rappresentanti delle istituzioni.

È il momento in cui ritorna di moda l’espressione “io sono garantista, ma”. Questa formula di autoassoluzione rispetto a un’immagine forcaiola della giustizia è un mezzo a buon mercato al quale fa ampio ricorso un’ampia platea di figure attive nel dibattito pubblico: dall’avversario politico di turno che si toglie qualche sassolino dalla scarpa alla firma più o meno illustre che apre l’ennesima questione morale.

Ma, proprio quando il tintinnio di manette si fa insistente, bisogna ricordarsi che il garantismo – cioè la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – è un principio che non può trovare attenuazione a seconda della convenienza o del vento che tira.

Ecco perché è utile ricordarsi della vicenda di Andrea Guido, ex assessore e attualmente consigliere di minoranza (sospeso) accusato di aver intascato una mazzetta da personaggi in odor di camorra e per questo agli arresti domiciliari.

Il provvedimento che lo ha riguardato, per come la vicenda si presenta nell’ordinanza di custodia, appare anomalo. Sicuramente agli occhi dei suoi difensori, Ivan Feola e Andrea Sambati, ma anche a quelli di chi ha espresso al consigliere incondizionata vicinanza. Una nuova istanza di revoca – una prima è stata negata a maggio – è stata depositata ieri presso il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli mentre potrebbe essere calendarizzato per ottobre il ricorso per Cassazione.

Di Guido molti hanno proclamato preventivamente l’innocenza perché “è un bravo ragazzo” e “perché ha aiutato tante persone bisognose”. Non possono essere queste, ovviamente, motivazioni giuridicamente valide e, del resto, decine di esempi si potrebbero fare, di reati, anche gravi, consumati dietro la superficie di iniziative filantropiche e di welfare per le fasce deboli della popolazione.

Una cosa, tuttavia, ce la sentiamo di dire, con il massimo rispetto per il potere giudiziario: esiste un confine tra fondatezza delle esigenze cautelari e forzatura delle stesse. Dopo oramai tre mesi di detenzione domiciliare è auspicabile che Guido torni in libertà e che possa, quanto prima, sapere se dovrà difendersi in un processo oppure no. L’aggravante mafiosa, per ora confermata, estende la possibilità di privazione della libertà per altri tre mesi.

Esiste, cioè, un tema generale molto delicato, il ricorso alla detenzione preventiva come anticipazione di pena (se mai ci sarà). Si tratta di una questione enorme, complessa, densa di equilibri ma che politica e magistratura devono affrontare nella consapevolezza che l’autorevolezza dell’una e dell’altra poggiano anche sull’affidamento che il cittadino fa su una giustizia che sappia dare risposte giuste in tempi ragionevoli. Che si tratti di un amministratore pubblico, di un professionista, di un ladro di polli, di ciascuna delle persone recluse in attesa di giudizio (alcune delle quali in carcere, contribuendo così a rendere i penitenziari luoghi sovraffollati e talvolta disumani).

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