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Pensieri di fine anno

Un anno memorabile: il Lecce verso il 2023 tra soddisfazione e fiducia

Alla promozione in serie A è seguita una prima parte di campionato incoraggiante e appassionante. La ricerca dell'equilibrio, in campo ma anche nei conti del club, come criterio fondante di una visione che è anche una sfida

LECCE - In ambito calcistico la memoria di solito procede per stagioni sportive, etichettando ciascuna in base al risultato finale, ma se un bilancio va fatto anche in base all’anno solare, allora non c’è dubbio sul fatto che il 2022 per il Lecce è stato tra i migliori di sempre: alla meritata promozione in serie A è seguita, infatti, una prima parte di campionato incoraggiante, grazie soprattutto ai sette punti in tre gare conquistati nell’ultima settimana prima della sosta per i Mondiali in Qatar. Il vantaggio di otto lunghezze sulla zona retrocessione è un margine non banale dopo 15 giornate, un regalo inatteso che i tifosi giallorossi hanno trovato sotto l'albero di Natale.

Il salto di categoria ha consentito innanzitutto di rimarginare una ferita, quella risalente all’anno precedente quando la squadra venne eliminata nella semifinale dei play-off dopo aver bruciato, nella parte finale della stagione regolare, un buon vantaggio sulle dirette inseguitrici nello sprint per la promozione diretta. Una delusione cocente che, peraltro, si andò a sommare a quella per la retrocessione dalla A maturata dopo e, probabilmente, a causa del lungo stop imposto dall’emergenza sanitaria per l’epidemia di Sars Cov 2.

Corvino e Baroni alla ricerca dell’equilibrio perfetto

Il 2022 è senza dubbio l’anno di Corvino, responsabile dell’area tecnica, e di Baroni, il tecnico che per il secondo anno di fila guida i giallorossi. Il primo ha voluto il secondo per sviluppare quell’idea di calcio che passa dallo schema 4-3-3 e della ricerca ossessiva dell’equilibrio come primo stella polare durante la rotta, che si può correggere ma non modificare.

I numeri attestano la bontà della scelta: in B il Lecce di Corini aveva chiuso con 68 gol fatti e 47 subiti, quello di Baroni, rispettivamente, con 59 e 31. La migliore differenza reti si è declinata in tre vittorie in più (totale di 16) e altrettante sconfitte in meno (5 in tutto), a fronte dello stesso numero di pareggi (14). Una differenza determinante ai fini del risultato finale.

Il passaggio di categoria, con le difficoltà annesse al cambio di scenario – dalla lotta per la promozione a quella per la salvezza -, non sembra aver inciso più di tanto sull’assetto della formazione salentina che al momento ha una differenza reti leggermente negativa (-3), ma con un numero di gol subiti (17 come Udinese e Torino) che fa del Lecce una squadra solida: meglio hanno fatto la Juve, la Lazio, il Napoli, la Roma, il Milan e l’Atalanta.

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La squadra più giovane, il mercato più oculato

Il percorso fatto nelle 15 giornate passate in archivio, vale la pena ricordarlo, non è stato affatto facile: le premesse di inizio stagione erano una squadra ringiovanita al punto da farne quella con l’età media più bassa del campionato e operazioni di mercato molto oculate per rientrare nei limiti del budget assegnato dalla proprietà in coerenza con l’obiettivo della sostenibilità finanziaria dopo un periodo, quello del Covid, zavorrato da poche entrate e tanti costi, tra cui quelli di alcuni ingaggi ereditati dal passato.

Sul campo la prima vittoria in casa è arrivata solo alla 13esima giornata – la seconda del campionato dopo quella in trasferta a Salerno – e due turni prima, a Bologna, il Lecce aveva lasciato il terreno di gioco con il peso sulle spalle di una prestazione incolore che sembrava poter vanificare tutti quei piccoli passi avanti comunque registrati fino a quel momento. In quel passaggio Baroni ha avuto il grande merito di tener i piedi ben saldi per terra e di proteggere il gruppo dalle possibili interferenze esterne.

A dire il vero, nel frattempo sono anche maturate un paio di modifiche dalle quali la squadra ha tratto beneficio. Blin ha giocato con maggiore continuità come interno di centrocampo – non è solo un vice Hjulmand, tanto per capirsi, come per lungo tempo ci si era ostinati a ripetere –, il che ha dato sicurezza a Gonzalez e bilanciamento a tutto il reparto; l’utilizzo di Banda è diventato meno scontato, ma più incisivo anche perché Di Francesco, che ha morso parecchio il freno, è tatticamente di un altro pianeta.

L’esempio di Umtiti

In uno scenario evidentemente condizionato da vincoli oggettivi, poi, c’è stato anche spazio per un colpo a effetto e dall’esito tutt’altro che scontato: il tesseramento di Umtiti. Calciatore proveniente da altra galassia, quella del Barcellona, e con i galloni di campione del mondo in carica, il difensore francese si è calato nella dimensione della provincia calcistica, ha lavorato duro per raggiungere una buona condizione atletica, ha ingoiato il rospo sedendo in panchina e da ultimo, quando è stato chiamato in causa (nella formazione iniziale in quattro delle ultime sette uscite), ha dimostrato tutta la sua esperienza, ma anche la sua ferrea determinazione a recuperare il tempo perso a causa dell’infortunio al ginocchio e dei suoi strascichi.

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Non solo una squadra, ma una visione

Il 2022 viene consegnato agli annali, dunque, con una buona dose di fiducia per l’anno che ne prenderà il posto. Ci sono le condizioni per proseguire sulla strada intrapresa e rivendicata con giusto orgoglio dalla proprietà. Il presidente Sticchi Damiani, sostenuto dagli altri soci e supportato dall’esperienza di un dirigente di livello internazionale come Sandro Mencucci, ha saputo coniugare realismo e progettualità. Su di lui, personalmente, l'ambiente ha fatto un investimento di fiducia, qualcosa che va oltre la riconoscenza nei confronti di chi si sobbarca onori e, soprattutto, oneri, di una gestione sportiva.

Uno dei meriti più evidenti di questa leadership è che la piazza ora si identifica non solo con i colori della squadra del cuore, cosa che istintivamente ha sempre fatto in tutte le categorie, ma anche con una visione fondata su un onorevole compromesso: tra la deriva affaristica e finanziaria che sta travolgendo da anni e in maniera sempre più evidente il calcio italiano e l’immagine idilliaca di un passato romantico e incorruttibile, può esistere uno spazio in cui le ragioni del cuore possono convivere con quelle della contabilità, delle plusvalenze e dello show business. Questa sfida, per molti versi controcorrente, è possibile, ma a patto di rispettare alcune clausole: la maggiore trasparenza possibile nel dialogo, l’indipendenza dei rispettivi ruoli, la fuga dalla tentazione della retorica e dalla liturgia dei social.

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