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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Lo scrittore ospite di dicembre è Gabriele Esposito

Dopo il racconto Vicinanza di Gabriele Esposito (Raminghi OFF), oggi la recensione del suo primo romanzo Tutto finisce con me per Wojtek editore nella Collana Orso Bruno

Nel romanzo di esordio Tutto finisce con me (Wojtek-Collana Orso Bruno) di Gabriele Esposito niente chiede salvezza. Tutto comincia e finisce nella testa del protagonista anonimo i cui pensieri, permeati da una latente batofilia, ruotano senza sosta attorno alla corteccia fino a  rasentare  un overflow.

Quello del protagonista è un mondo dicotomico, pieno e vuoto, popolato e deserto, che lo rende un impiegato della vita del nostro tempo, un solipsista ansiogeno poli-dipendente. I suoi pensieri dominanti sono il sesso, la palestra e i social che procedono in un loop da cui forse non vorrebbe nemmeno venirne fuori. È anche un workalcoholic, un maniaco del lavoro, ma non troppo convinto; è perlopiù morigeratamente fagocitato da quel mondo fatto di anglicismi e managerialità.

In Tutto finisce con me il protagonista è un uomo alla ricerca disperata di consenso affettivo e sociale, è succube della sua stessa immagine, attento e sensibile a quella altrui.

Un uomo che oscilla tra autostima estetica e culto del corpo. Un uomo pieno di solitudini che mantiene relazioni/non relazioni che gli garantiscono una rassicurante distanza di sicurezza emotiva. Uno spettatore passivo dello spettacolo della vita sua e degli altri.

Nel romanzo il flusso dei suoi pensieri è continuo, claustrofobico, ossessivo, ovattato e le solitudini e i silenzi diventano la sua dimora.

Il personaggio più umano di Tutto finisce con me è il cane di un senzatetto con cui il protagonista si intrattiene di tanto in tanto in una sorta di mimetismo fisico, il resto dell’umanità che gli ruota attorno è una piccola falange di individualisti come lui. Individualismi però che non sconfinano mai in una vera solitudine, non hanno né profondità né acume di pensiero.

Esposito lascia che i personaggi pattinino senza attrito su ghiaccio secco in un sistema fisico perfetto da primo principio della dinamica narrativa. E il protagonista appare in uno stato incosciente seppure vigile e febbrile, è lì e non è lì, è scollato dalla contingenza, dal suo vissuto eppure è e resta iperreale.

Tutto finisce con me è un romanzo di solitudini che si moltiplicano e auto annullano, di distrazioni, perfezioni maniacali e anestesie emotive, è la storia di un uomo alla ricerca disperata di demandare al futuro aspettative e cambiamenti, che si crogiola in un presente congelato. Nemmeno la perdita della madre e la rottura della relazione con la fidanzata Veronica lo spingono a uscire dallo stato di impasse; perso il femminile materno e amoroso punta su quello molteplice ed estraneo che reperisce in rete.

La narrazione si sviluppa per buffering, attese di caricamento e disconnessioni del pensiero e ruota attorno a ciò che attiene il mondo della tecnologia e una vita sentimentale sfilacciata, rapporti umani inesistenti e un vuoto assoluto che gli psicofarmaci  e il sesso non riescono a colmare.

Esposito, attraverso il suo protagonista anonimo, racconta l’alienazione degli individui contemporanei sotto il dominio della tecnologia, dell’influenza che riesce ad avere sulle relazioni e sulla comunicazione, di come abbia favorito l’implosione di rapporti già vacillanti.

Tutto finisce con me  di Gabriele Esposito è un ottimo esordio che poggia sulla forza di un pensiero narrativo complesso e strutturato e una lingua scarna, asciutta e matura capace di produrre il sound da nenia malata di chi vive la realtà filtrandola attraverso i social.

Gabriele Esposito nasce a Venezia nel 1983.

Ha pubblicato “Giocattolosa”, un racconto lungo sperimentale in venti puntate, sulla rivista letteraria “Malgrado le mosche”. Altri suoi racconti sono su “Nazione Indiana”, “Micorrize”, “In allarmata radura”, “Kairos”, “Salmace”, “Suite italiana”, “Il mondo o niente”, “Altri Animali”, “Verde”, “Crack”, “Sulla quarta corda”, “Pastrengo”, “Narrandom”, “Risme”, “Quaerere”, “Bomarscé” ed “efemera”.

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