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Martedì, 23 Aprile 2024
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“Del Nostro Meglio”, il nuovo romanzo di Carmela Scotti. Intervista all’autrice

Tra affetti feroci e amati rancori, Claudia, la protagonista del romanzo di Scotti, scioglie ricordi ingannevoli per ricostruire se stessa

Il nuovo romanzo Del Nostro Meglio (Garzanti) di Carmela Scotti è ambientato in Lombardia, due dei protagonisti, Fausto, un chirurgo, e Caterina, una divorzista, sono una coppia giovane. Non hanno figli, ma ne vorrebbero perché avere qualcuno che ti possa sopravvivere è un modo infallibile per dare un senso alla finitezza. Nella coppia però c’è uno sbilanciamento, Caterina ama per entrambi e pensa che non ci sia nulla di sbagliato nel prendersi la briga di amare per due, se l’altro non riesce a fare la sua parte. Quello di Caterina è un amore malato, un’ossessione per un uomo che non la ricambia allo stesso modo, un uomo irrisolto e violento. Quando finalmente riescono ad avere Claudia, la loro unica figlia, in Caterina si innesca il perverso meccanismo della gelosia, della rivalità perché crede che la bambina le sottragga le attenzioni del marito:

“Più che madre e figlia, eravamo rivali in amore, falene attratte dalla luce che mio padre emanava, e quando per qualche motivo, quella si spegneva, eccoci a sbattere le ali alla cieca, a cercare quanto avevamo perduto. Per mia madre io ero, per farla breve, il terzo incomodo, e non sapendo più cosa inventare per farsi amare da suo marito, attaccava chi aveva più vicino, chi non aveva armi per difendersi.” (Pag. 23)

Claudia è “una figlia doppia, la bambina che ride forte con suo padre, che può saltare e far capriole e sporcarsi di fango fino ad «assomigliare a un maiale» – parola di madre – e allo stesso tempo, il frutto delle ossessioni di mia madre, slegate da qualunque realtà ci fosse stata data in sorte.” (pag.25)

E l’amore assoluto per il marito si asciuga e inaridisce nei confronti della figlia-ostacolo fino a trasformarsi in separazione fisica, rifiuto, dopo un accadimento che sconvolge la vita dell’intera famiglia; un accadimento di cui Claudia conserverà un ricordo ingannevole perché basato su una bugia.

A questo punto della storia cade il velo della morale borghese al candeggio e dal salotto dove “erano banditi sbadigli, starnuti, colpi di tosse incontrollati,” e “niente doveva interferire con il sacro orologio a pendolo che batteva un tempo senza scossoni, quello imperturbabile degli interni borghesi, impermeabile al caos della vita”, il caos entra nelle vite di tutti. Il sistema “perfetto” esplode e le vite dei personaggi si sviluppano in maniera diversa: Claudia si troverà a crescere da sola, come può e sa, cercando di esorcizzare il peso dei pensieri e il male di vivere attraverso esperienze forti e autodistruttive, Caterina invece da elegante, magra donna borghese intraprenderà il cammino verso il disfacimento fisico ed esistenziale. Tra Caterina e Claudia, Scotti costruisce una dissomiglianza diametrale in cui la figura di Fausto, per rafforzare l’equazione, persiste solo nel ricordo falsato e doloroso di Claudia.

In un gioco di flashback e flashforward le parole di Carmela Scotti diventano proiettili dalla balistica narrativa precisa, cauterizzante, cruda, per colpire sempre dove devono e da quei fori lasciar trasparire piccoli coni di luce che illuminano piccolezze e manie, cattiverie e dolore, bugie e verità.

Del Nostro Meglio (Garzanti) è un romanzo di crescita con una coralità femminile molto forte, accanto a Caterina e Claudia e al loro rapporto/non rapporto si muovono la zia paterna di Claudia, Dora e la sua amica Vera, e Vio, amica e coetanea della ragazza; la loro presenza, solidarietà e amore riescono a sanare le ferite di Claudia pur lasciandole delle cicatrici nodose e la consapevolezza della verità che diventa monito, preghiera e dolce carezza nella sopravvivenza.

Intervista a Carmela Scotti

Dopo aver letto il suo ultimo romanzo Del Nostro Meglio, l’ho definito d’impatto manilineare perché ha a molto a che fare con le mani dei personaggi. Non so se è una forzatura ma il pensiero è andato anche ai Mani che per gli antichi romani erano le anime dapprima infernali poi placate dei defunti che salivano a vagare sulla terra. È possibile ravvisare un’attinenza simbolica con la storia date le diverse perdite e i fantasmi del passato che si susseguono nella narrazione?

C.S.: Riflessione interessante, che conferma quello che ho sempre pensato: se il romanzo “funziona”, sa molte più cose di quante ne sappia l’autore, e altrettante ne comunica.Di certo le mani nel romanzo sono importanti, perché, nel caso di Fausto, per esempio, dicono chi è il personaggio, ne rivelano il lavoro, il presente, l’indole, i traumi e le esperienze passate. E lo stesso capita con Nina, la figlia di Claudia, che usa le mani per suonare il suo violino in un momento difficile della sua vita, durante l’intervento, e ancora le mani sono quelle che governano la terapia psicoanalitica alla quale Claudia si sottopone. Le mani “rivelatrici” (come lo fu il cuore, nel racconto di Poe) sono centrali nel romanzo, e lo sono anche i fantasmi, più o meno benevoli.

Attorno al matrimonio infelice di Caterina e Fausto si sviluppa l’intera storia; lui è un chirurgo incapace di fermezza nel privato, lei una divorzista lontanissima dall’operare una scelta simile per se stessa. Le chiedo se la scelta delle professioni sia stata funzionale alla definizione dei personaggi?

C.S.: I lavori svolti da Fausto e Caterina danno il polso di come si svolgano le loro esistenze, delle dinamiche di coppia e delle scelte fatte. Fausto probabilmente ha cercato di allontanarsi dalla sua famiglia di origine seguendo un percorso di studi complesso e lungo, ma la professione scelta, quella del chirurgo, richiede una fermezza e una “presenza a se stessi” che lui non ha, per via del suo passato. Caterina, invece, si trova a vivere un eterno paradosso, aiutare le coppie a divorziare quando lei invece, rifiuta con ferocia l’idea della separazione, ritenendola una fuga da vigliacchi, in quel groviglio di pensieri contorti al cui centro c’è un amore che è solo ossessione.

Del Nostro Meglio è un titolo molto bello e universale che riguarda tutti, è quello che facciamo di continuo tra aspettative, delusioni, errori e riuscite. Caterina ad esempio ha una sua forte dicotomia che oscilla tra l’amore ossessivo per il marito e la fredda disaffezione verso la figlia. Inoltre è molto interessante l’involuzione sociale e fisica che si compie in lei. La incontriamo dapprima ricca, magra e ben curata e poi la ritroviamo bulimica, depressa e sciatta. Come è nato e maturato il suo personaggio?

C.S.: Caterina è in balia di una ossessione, che lei, appunta, si ostina a chiamare Amore. Questo la porta a desiderare, ardentemente, qualcosa che non potrà mai ottenere, a sviluppare una “fame” che le scaverà dentro un vuoto incolmabile. Ho voluto mostrare una parabola, inevitabilmente discendente, di un personaggio che rimane, per tutta la vita, estraneo a se stesso, che non sa guardarsi allo specchio, né fare i conti con i propri fantasmi. Che imita le vite degli altri perché non riconosce la sua. Talmente estranea a sé stessa che, come dico nel romanzo, di lei si può narrare soltanto in terza persona, perché Caterina non sa dire “io”, e se lo dice, non sa che è di se stessa che sta parlando.

Claudia, la “figlia” di Fausto e Caterina, cresce sviluppando una forte componente autodistruttiva. Alle volte leggendo avevo l’impressione di sentirle sussurrare nel pensiero “madre fammi sentire che mi hai portato in grembo” tale è la scollatura che si consuma tra le due. L’autodistruzione, l’autolesionismo di Claudia sono un modo per domare il dolore che la divora o rispondono ad altre esigenze esistenziali del personaggio e quindi narrative?

C.S.: Claudia ha bisogno di ricostruire sé stessa, ma prima deve perdersi, correre così veloce da lasciarsi alle spalle quella voce ossessiva che sembra risucchiarla indietro, a un momento preciso del suo passato che sembra non voler passare. E se il passato corre, lei deve correre più veloce, per non farsi raggiungere. Deve disfarsi del suo corpo e soprattutto, dei suoi pensieri, essere, come dice lei, solo “aria e suono”. Claudia ricerca l’oblio, da raggiungere con qualunque mezzo. Poi, dopo, potrà contare i cocci e rimetter(si) insieme.

Il suo è un romanzo sul corpo femminile tra maternità, rappresentazione di sé, mostruosità  che può essere intesa come eccesso generante o respingente, una cosa che si ripercuote sulla relazione tra Caterina, la madre,  e Claudia, la figlia. Come ha immaginato e costruito la loro non/relazione?

C.S.: Sono sempre stata “ammaliata” dalla maternità e dal potere enorme che essa esercita. Dalle madri, personaggi così vicini alla fiaba, così onnipotenti, capaci di distruggere e dare la vita con un solo gesto, con un singolo rifiuto. Una madre si ritiene naturale ami il proprio figlio sopra ogni altra cosa, e se non riesce, se l’amore (o l’ossessione) che prova per un uomo è superiore al legame con il figlio, ecco che allora diventa una reietta, una creatura realmente mostruosa, che non può che rintanarsi in una grotta, nascosta alla vista degli uomini, come sarà per Caterina. A un certo punto della sua vita, lei si trova a compiere una azione che segna il suo “punto di non ritorno”, e da quel momento in poi Caterina dichiara la resa. Da quel momento in poi ogni possibilità di costruire una relazione con la figlia svanisce, da quel momento in poi la relazione tra Caterina e Claudia sarà in sottrazione, fatta di parole che non dicono, di sguardi che non vedono, di incontri che dividono.

Nei suoi romanzi c’è sempre una grande attenzione per il tema dell’imperfezione femminile e Del Nostro Meglio non fa eccezione. Dora, Vera e Vio, presenti nel romanzo, incarnano un femminile imperfetto che si accetta, che non ha paura delle parole dopo aver ceduto ai fatti. Volevo chiederle cos’è per lei l’imperfezione?

C.S.: Posso rispondere dicendo cosa non è la perfezione: la perfezione non è seducente, è statica, priva di palpiti, compiuta una volta per tutte, senza sbocchi. L’arte fallisce quando è “perfetta in tutte le sue parti”. La perfezione applicata alla narrativa, darebbe vita a personaggi che hanno poco o nulla da dire, che sono già “risolti”, con poco fiato per coprire la lunga distanza del romanzo.

L'autrice

Carmela Scotti è diplomata in pittura e fotografia all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ha vissuto a Palermo, a Roma e a Milano, facendo i mestieri più diversi. Oggi vive in Brianza e collabora con i settimanali "Cronaca Vera" e "Tu Style". L’imperfetta (Garzanti, 2016), il suo romanzo d’esordio, è stato finalista al prestigioso premio Calvino. Ha pubblicato sempre per Garzanti Chiedi al cielo (2018), La pazienza del sasso (2021) e Del nostro meglio (2023).

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