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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

A caccia di notizie o notizie di caccia? Due visioni

La lettera di un lettore appassionato di caccia, che accusa i media: "Su di noi solo falsi giudizi personali". La risposta: "Inutile chiamare in causa Maestri del giornalismo"

Di seguito, il testo di una lettera ricevuta in redazione ed una nostra risposta.

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Spett.le Redazione,

Appartengo alla categoria dei Cacciatori con la C maiuscola e sono indignato in primo luogo per il fatto che esistano persone nella nostra categoria che infangano la nostra passione per questa nobile arte con simili gesti, ma ancor di più perché da parte dei media, anche quelli sul web come voi, non si perda mai occasione per gettare discredito sui Cacciatori, distorcendo ad arte i fatti accaduti e speculando in modo vergognoso al solo fine di alimentare una caccia all'untore indiscriminata da parte dell'opinione pubblica nei riguardi della nostra categoria.

Questi due idioti (c'è un riferimento specifico ad un articolo, Ndr), che non possono essere catalogati come cacciatori, usavano non una carabina, ma un calibro piccolo e continuavano a caccia chiusa a sparare indiscriminatamente non a passeri o cardellini ma ai tordi della pineta in questione e sono stati presi con le mani nel sacco dopo una segnalazione fatta da cacciatori del paese che avevano notato il ripetersi del fatto per diversi giorni. Nel dare le notizie, avreste il dovere etico legato alla professione che svolgete, di informare correttamente sui fatti e possibilmente non farci passare per degli ottusi massacratori che sparano a tutto ciò che ha un paio di ali.

Ho 41 licenze di caccia e mi vergogno del fatto che esistano tali elementi in mezzo a noi, che tra l'altro conosco, essendo del paese in cui è avvenuto il fatto, ma mi vergogno anche che icone del giornalismo italiano, che avrebbero dovuto essere d'esempio per la vostra categoria (vedi Indro Montanelli, Enzo Biagi, ecc.) non siano bastati a trasmettere l'etica professionale nell'informare e nel dare le notizie con professionalità e lasciando al lettore la capacità di interpretazione, senza inquinarle con falsi giudizi personali.

Cordiali saluti.

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Abbiamo ricevuto oggi questa scorbutica, per quanto educata e-mail di dissenso in merito ad un articolo pubblicato su LeccePrima. L'e-mail in questione è firmata, ma per diversi motivi (soprattutto legati al fatto narrato) abbiamo tolto i riferimenti. Sarà l'autore, eventualmente, a manifestarsi, con una sua ulteriore missiva, o magari con un proprio commento.

Dico subito una cosa: mi sembra che per un argomento, per quanto importante, ma non vitale, giacché racchiude la "passione" (così viene definita, e così riporto) di alcune persone, che risultano - comunque si voglia vedere la questione - una minoranza, siano stati scomodati due Maestri (non a caso uso la maiuscola) del giornalismo, ai quali noi stessi non oseremmo neanche lontanamente paragonarci. Resta il fatto, c'insegnano i loro stessi scritti, che per questioni decisamente più importanti (non ce ne voglia nessuno) e riguardanti fatti di politica nazionale in momenti passati o presenti, cruciali per il Paese, personalità quali Indro Montanelli ed Enzo Biagi non si siano certo fatti scrupolo nell'adottare e promulgare una visione molto intima delle cose. Non facciamo certo torto ai due Maestri dicendo così, che se "turatevi il naso e votate Dc" è una storica frase scritta e, immagino, riletta cento volte da Montanelli, prima che fosse pubblicata, l'ultimo libro di Biagi, prima che purtroppo ci lasciasse, "Quello che non si poteva dire", addita dalla prima all'ultima pagina Silvio Berlusconi.

Ricordati alcuni passaggi-chiave del pensiero di due Maestri inopportunamente chiamati in causa, visto che la militanza è di questo mondo e che neanche i Migliori si sono estraniati dal richiamo delle umane "passioni" (pena sarebbe stata, al loro trapasso, l'ignobile condizione di ignavi alle soglie degli inferi, come un altro, immenso Maestro, Dante Alighieri, insegna), entriamo nel merito del discorso. Dunque, non ho ribattuto io quello che in origine doveva senz'altro trattarsi di un comunicato stampa, ma nelle vesti di con-direttore (siamo in due, qui, e siamo soci) spiego una cosa: da un lato i toni dell'articolo sono effettivamente forti, e aggiungo che forse, come per mille altri casi, l'argomento andava approfondito e ampliato, fino ad accertarne tutti i passaggi ed effettuare una cronaca più distaccata e rigorosa (cosa che non sempre è possibile, per mille motivi che non sto qui a spiegare); dall'altro adotto, in buon sostanza, la posizione di condanna. E perdonatemi il paradosso.

Ora, so già che qualcuno (compresi amici personali) non apprezzeranno quello che sto per scrivere, ma piuttosto che crepare tra gli ignavi, nell'inferno dantesco preferirei avere una posizione definita. Che bruci, insomma, in eterno, il mio corpo di peccatore, ma almeno in una bolgia certa. Piuttosto, esprimo il mio pensiero, e dico: non accetterò mai che un essere vivente venga ucciso, per il puro piacere che ne sopravvenga la morte. Non lo accetterò mai. Mai.

Chi parla, sia inteso, non è un vegetariano. Non che disdegni i vegetali: ma essendo carnivoro, li vedo bene con olio e aceto accanto ad una buona costata. Vale a dire che, come la maggior parte di voi, non mi faccio scrupolo nel mangiare carne animale. Aggiungo: sono talmente patito di carne - e di tutti i tipi! - che più o meno di recente, in Inghilterra, sono incappato in una gaffe atroce: ho serenamente ostentato il mio amore per la carne di cavallo, nella fattispecie, incappando negli sguardi a metà fra l'incredulo e l'inferocito di una famiglia che lamentava come il quadrupede in questione fosse, per gli abitanti delle lande di Albione, ritenuto domestico alla stregua di un cane o di un gatto. Vallo a spiegare nel Derbyshire, terra del famoso derby dei cavalli, d'altro canto, come insegna la parola stessa, che in una qualsiasi trattoria di Soleto o di qualche frazione di Vernole, si può fare la scarpetta con il pane, nel succulento sugo di pomodoro nel quale è immerso lo spezzatino di cavallo…

E sorvoliamo sull'ipocrisia di fondo di chi chiude gli occhi nauseato se ti gusti "pezzetti e mieru", ma poi va in visibilio per la tradizione della caccia alla volpe. Perché è tutta qui, la questione. Proprio così. Chiamatemi peccatore, dunque: ma io seguo la morale corrente. La quale accetta più di buon grado l'uccisione di un animale per sfamare qualcuno (meglio: più di qualcuno), piuttosto che l'esecuzione capitale fine a se stessa, per il piacere "sportivo" del singolo. Un bue viene chiuso in uno spazio angusto e sparato alla testa. Capitola in un attimo, ma prima di quell'attimo, sembra che percepisca l'atroce fine verso la quale va incontro. Chi l'ha sparato prende uno stipendio, ed un altro stipendio va nelle tasche di chi scuoia l'animale. Le carni vengono rivendute, ed ecco altri stipendi. Finiscono in tavola, e sfamano una famiglia, o in un ristorante, e sfamano quindi il cliente finale, ma, con il conto, anche il ristoratore, i suoi camerieri, il cuoco. Si crea una filiera. In seno a questa filiera, non è certo meno cruda la barbarie dell'uccisione originale.

Ma resta più accettabile. Perché ha un fine, perché consente a più persone di vivere. E allora, il fatto diviene più sopportabile, e ci si dimentica persino di quale sia l'origine di tutto. Ma, perdonatemi: sparare a qualsiasi cosa che abbia delle ali, come fanno i bracconieri, o a un uccello in particolare, come usano i Cacciatori, e solo per vedere quel corpo planare giù, a peso morto, per poi afferrarlo ed esibirlo come un trofeo, è una cosa che proprio non m'entusiasma, non vedendovi nessun fine ultimo, se non un'orrenda vanità umana di fronte alla preda indifesa. Quindi, se Lei, caro lettore, è indignato per come i media danno certe notizie, sappia che io, per darle spiegazioni, chiamo in causa solo me stesso, come uomo comune, e non Maestri che meritano di riposare in pace.

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