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Cronaca

"Operazione Affinity", colpi di scena. In appello assoluzioni e sconti di pena

Assolti Palmiro Antonio Calò, detto "Fuletta", 59enne, di Zollino condannato in primo grado a 13 anni e 4 mesi e ntonio Sileno, detto "Billo", 51enne di Lecce, già condannato a sette anni di reclusione. Sconti per altri imputati

 

LECCE – Colpo di scena nel processo d’appello scaturito dall'operazione "Affinity", portata al termine dagli agenti della squadra mobile di Lecce il primo dicembre del 2009.  Assolto, infatti, Palmiro Antonio Calò, detto “Fuletta”, 59enne, di Zollino condannato in primo grado a 13 anni e 4 mesi. I giudici hanno accolto in pieno la tesi difensiva dell’avvocato Luigi Piccinni. Assoluzione anche per Antonio Sileno, detto “Billo”, 51enne di Lecce assistito dagli avvocati Francesco Maggiore e Gabriele Valentini, già condannato a 7 anni di reclusione. Pena dimezzata, da 12 a sei anni per Azeddine Abida, detto "Dino", marocchino, 45enne, residente a Carmiano. Sconto di pena anche per Ivan De Rinaldis, 39enne, alias “Schiacciatina”: la cui pena, in continuazione con un altro processo, è scesa a 20 anni. Confermata, invece, la condanna a cinque anni di reclusione per Azzurra Totaro, 29enne di San Pancrazio Salentino. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Gabriella Mastrolia, Donata Perrone e Luigi Corvaglia.

Nel corso dell'operazione furono eseguite trentuno misure cautelari in carcere. L'inchiesta portò alla luce un vasto traffico di droga che aveva come basi logistiche alcune delle discoteche e dei luoghi più frequentati della costa del Salento. Per gli imputati le accuse a vario titolo riguardano l'associazione per delinquere (già caduta in primo gardo per molti imputati) finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e la detenzione di armi (nel blitz fu sequestrato anche un fucile a pompa, due pistole con matricola abrasa, numerosi proiettili e alcuni caricatori per armi semiautomatiche). Secondo gli inquirenti, all'interno dell'associazione un ruolo di vertice sarebbe stato occupato da alcuni esponenti della cosiddetta "Lecce bene" e da alcune donne.

Le indagini furono condotte sia con metodi tradizionali sia con intercettazioni telefoniche, e nacquero dopo un sequestro di 320 grammi di eroina e di armi, nel garage di un palazzo di Lecce. Dal capoluogo, si diramarono quindi fino al confine con il brindisino da un lato e nel basso Salento dall'altro, lasciando ipotizzare una vasta ramificazione di sodali dediti allo spaccio di eroina, cocaina, ma anche “speedball”, un cocktail ricavato dai due stupefacenti.

 
 
 
 
 
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