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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Ai domiciliari da 73 giorni, Guido prova a riprendersi la libertà in Cassazione

La difesa ha impugnato la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli davanti agli ermellini. Annunciata anche l’istanza di revoca della misura al gip che l’ha emessa

LECCE - “Faremo di tutto affinché venga restituita al più presto la libertà ad Andrea Guido, come merita; e soprattutto auspichiamo che egli possa ritornare quanto prima al suo impegno quotidiano in favore dei cittadini leccesi e soprattutto di coloro che hanno più bisogno”: lo dichiarano in una nota congiunta gli avvocati Ivan Feola e Andrea Sambati che assistono il politico leccese, ai domiciliari dallo scorso 20 aprile con l’accusa di corruzione aggravata dall’aver agevolato il clan camorristico dei Moccia. In particolare, secondo gli inquirenti, l’indagato avrebbe intascato 4mila euro (su una somma inizialmente concordata che sarebbe stata di 5mila) in due tranche, tra l’aprile e l’agosto del 2017, quindi negli ultimi mesi del mandato (terminato a fine luglio) di assessore nella giunta dell’allora sindaco Paolo Perrone, da parte di Francesco di Sarno, 50enne di Napoli, considerato braccio economico del clan Moccia.

A fare da intermediari tra il capo e Guido, sempre secondo l’accusa, sarebbero stati Mario Salierno, 44enne di Napoli, e Giuseppe D’Elia, 55enne di Novoli. Quest’ultimo, per i suoi servigi, avrebbe ricevuto un orologio Rolex, degli occhiali e 500 euro.

I legali hanno presentato ricorso in Cassazione, dopo che il tribunale del Riesame, il 17 maggio, ha respinto la richiesta di annullare l’ordinanza di custodia cautelare, rendendo note le motivazioni dopo circa quaranta giorni, e sulla scorta delle indagini difensive presenterà anche istanza di revoca della misura allo stesso gip che l’ha emessa.

La difesa sostiene che il quadro accusatorio si basi esclusivamente su alcune intercettazioni telefoniche che riportano conversazioni fra soggetti terzi, che non vedono mai Guido tra gli interlocutori; né sono indicati tempi e modi della asserita consegna del denaro, che sarebbe oggetto della contestata corruzione.

Ma questa considerazione è stata ignorata dal Tribunale della libertà di Napoli. Quello che desta maggiore stupore, secondo i legali, è che i giudici abbiano confermato l’aggravante mafiosa, ritenendo che Guido sarebbe stato consapevole della mafiosità dei suoi interlocutori campani, anche perché colui che glieli aveva presentati - e cioè Giuseppe d'Elia - era sicuramente consapevole della loro mafiosità, e ciò (sempre secondo il Tribunale)  emergerebbe "icasticamente dalla conversazioni di cui al progressivo 24115 del 10.5.2017 decreto 1320/ 17 nella quale d'Elia chiedeva a Salierno Mario spiegazioni su quanto accaduto presso la struttura.....". 

Ma, “la cosa inquietante”, per i difensori, è che per d'Elia il medesimo Tribunale del riesame di Napoli (con altro provvedimento) ha ritenuto “non sussistere” l’aggravante della mafiosità.

“Tale discrasia tra i due provvedimenti - emessi non solo nello stesso procedimento e dallo stesso tribunale, ma addirittura dalle stesse persone fisiche -  ci lascia esterrefatti ed impotenti nella difesa del povero Andrea Guido” dichiarano i legali.

Per questi, inoltre, un dato non trascurabile è che i coimputati campani all’epoca dei fatti, nel 2017, non solo erano totalmente incensurati, ma la loro società, la Soloil, era regolarmente inserita nella White list della locale prefettura. Insomma, solo col procedimento in questione l’autorità giudiziaria napoletana avrebbe scoperto i loro presunti rapporti con il clan.

“Nonostante tutto confidiamo nella Giustizia, e soprattutto nel buon senso e nella preparazione dei magistrati napoletani”, concludono gli avvocati Feola e Sambati.

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