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Cronaca

"Aldo Moro: la sua prudenza, i suoi insegnamenti"

Un busto in bronzo è stato posto a Palazzo Adorno, in ricordo dello statista della Dc, nativo di Maglie, ucciso 29 anni fa dalle brigate rosse. Il commosso ricordo nelle parole di Giacinto Urso

Ventinove anni fa, il 9 maggio del 1978, il ritrovamento in via Caetani, a Roma, del corpo senza vita di Aldo Moro. Lo statista italiano nativo di Maglie, cinque volte presidente del Consiglio e presidente della Democrazia cristiana, era stato rapito dalle "brigate rosse" il 16 marzo dello stesso anno in via Fani. La spietata esecuzione, dopo 55 giorni di prigionia. Oggi, la Provincia di Lecce ha onorato la figura del grande politico italiano, ponendo un busto bronzeo di Aldo Moro nell'atrio di Palazzo Adorno. Nell'aula consiliare dell'attigua Palazzo dei Celestini, poi, durante la commemorazione di Aldo Moro, l'onorevole Giacinto Urso, difensore civico della Provincia, ha ricordato quel drammatico giorno per il Paese.

"Mai si cancellerà dai miei occhi la tragica, macabra scena di quel primo pomeriggio di 29 anni fa", ha ricordato Urso, con commozione, di fronte alla platea. "Ero diretto a Piazza del Gesù assieme all'onorevole Italo Giulio Caiati. L'improvviso ululare delle sirene e uno stuolo di auto della polizia e dei carabinieri ci spinse nei paraggi di via Caetani. Fu così che ci trovammo di fronte al bagagliaio della "Renault", dove adagiato giaceva il corpo di Aldo Moro, trucidato dalla follia delle brigate rosse e vittima di una avida ragione di Stato. Scompariva così ‘un uomo buono e giusto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato', come disse Paolo VI, ‘o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza'".

"Per la prima volta, nel 1943, lo conobbi ad Otranto, giovanissimo docente universitario", ha detto ancora Urso. "Venne a svolgere una dotta conversazione ad un corso di formazione politica dell'Azione cattolica italiana di quella arcidiocesi. A noi, digiuni di libertà e provati anche dalle privazioni belliche, insegnò che : ‘la sorte della democrazia è nelle nostre mani. Che essa si salvi non solo ma si consolidi e si sviluppi dipende da noi, dalla nostra fiducia, dalla nostra lungimiranza, dalla nostra fortezza, dal nostro spirito cristiano'. Lo ritrovai a Bari presso la libreria Ave, a pochi passi dalla sede dell'Università. Si parlò ancora di libertà, di democrazia e di lievito cristiano in altri frequenti incontri. Edificanti, anche se difficili, erano i suoi pensieri, lunghi e densi di saggezza giuridica e di costante richiamo alla coscienza".

"Ci ricordava - rimembra Urso - che: ‘senza la decisiva volontà di tutti i cristiani che sentano lo sviluppo democratico coerente alle grandi linee cristiane di dignità umana e di fratellanza resta aperta una breccia nella linea difensiva della democrazia per la mancanza di uno dei suoi fermenti più efficaci' . Nel tempo, da segretario provinciale e consigliere nazionale Dc, ebbi intensa vicinanza con lui, segretario nazionale della Dc. Numerosi furono i nostri colloqui. Aldo Moro si apriva all'ascolto in maniera straordinaria, dettando, a conclusione, principi fermi, richiami pacati, stimoli salutari".

E' nella mia memoria, tra i tanti, un invito, a seguito di una scabrosa vicenda morale, accaduta a carico di una personalità di Lecce. Dopo la mia severa esposizione, mi fissò dicendomi: ‘hai ragione. Ora torna sereno a Lecce e prima di parlare, taci' . Prudenza e magistero erano nel suo dire. Ci incontrammo alla Camera dei deputati dal 1963 al 1978. Quanti consigli vennero al mio arduo compito di presidente della Commissione sanità durante la discussione istitutiva del Servizio sanitario nazionale. In due Governi mi volle sottosegretario di Stato alla Pubblica istruzione, cratere incandescente di eruzioni contestatarie studentesche. Un giorno del 1975, assente il ministro, mi convocò a Palazzo Chigi, a seguito dei moti universitari in corso alla "Sapienza". Lo trovai stanco, rammaricato, anche per alcuni commenti non benevoli, provenienti da amici. Mi permisi di dirgli che in fondo tutti gli volevano bene. Ebbe un mezzo sorriso e mi confidò questo testuale richiamo: ‘caro Urso, ricordati che anche di bene si può morire'.

"Parlai con lui altre volte e prima del suo rapimento, durante l'assemblea dei parlamentari Dc il 28 febbraio 1978. Esposi anche alcune mie perplessità, come feci in altre occasioni, quando mi mancò la condivisione della sua linea politica ma mai il rispetto sentito e l'ammirazione straordinaria. La risposta ai miei dubbi venne da quel memorabile discorso, sofferto e meditato. In particolare da due concetti più che attuali. Disse, con visibile sofferenza: ‘si tratta di vivere il tempo che ci è dato con tutte le sue difficoltà'. Ed ancora si domandò, con voce vibrante: ‘immaginate che cosa accadrebbe in Italia se fosse condotta in fondo la logica dell'opposizione, da chiunque fosse condotta sino in fondo, da noi o da altri, se questo Paese, dalle passionalità continue e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo?'

"A questa succinta testimonianza, aggiungo due finali considerazioni e un auspicio. Aldo Moro da alcuni fu considerato, nella sua azione un distratto politico, sul piano del fare, anzi un freddo osservatore nei riguardi degli interessi della provincia di Lecce, dove è nato. Non fu così. Nemmeno nel dibattito per l'istituzione della Regione Salento, mancata per ragioni di ordine generale e per cavilli regolamentari. Nemmeno per la statizzazione dell'Università di Lecce, che, a fase avanzata, invogliò con i fatti. Certo, nel deputato della circoscrizione elettorale Bari-Foggia e nel docente dell'Ateneo barese, non potevano venir meno i vincoli del proprio stato, che, però, non oscuravano l'amore intimo e prudente verso la sua terra. Così, nei riguardi delle attese del Mezzogiorno. Non fu predatore localistico ma mai ebbe cenni di tiepidismo verso il riscatto del Sud. Basta leggere i suoi discorsi per l'inaugurazione della Fiera del Levante, pronunciati negli anni 1964-1965-1966-1967 e 1975".

Urso, ringraziando il presidente della Provincia Giovanni Pellegrino, "per la sensibilità mostrata nell'accogliere la proposta di collocare un busto bronzeo di Aldo Moro, Martire della Libertà, a nome della Provincia natale", ha quindi chiuso il suo lungo ricordo dello statista con un auspicio: "Si continui, pure, a scrutare il calvario dei suoi 55 giorni di prigionia e gli atteggiamenti che non agevolarono la sua salvezza. Ad una condizione, che l'enfasi e il sensazionalismo della ricerca, ad ogni costo, di congetture misteriose non risultino assorbenti del suo alto magistero, fonte viva di intuizioni e di insegnamenti per l'oggi e per il domani".

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