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Cronaca

La strage di Brindisi un anno dopo. Resta l’urlo: “Io non ho paura”

Alle 7,42 del 19 maggio 2012, la deflagrazione di tre bombole di gpl, piazzate nei pressi dell'istituto professionale "Morvillo-Falcone", spezzò la vita di Melissa Bassi. I ministri Carrozza e Bray, sul luogo dell'attentato, hanno indossato le magliette con lo slogan, regalate loro dagli scolari

BRINDISI – Loro, che ricoprono anche il ruolo di ministri, non hanno paura. Lo hanno sottolineato per bene, scrivendolo sullo sfondo nero di una maglietta, quando questa mattina hanno raggiunto l’istituto professionale femminile per i servizi sociali  “Morvillo- Falcone” di via Giuseppe Maria Galanti, a pochi metri dal Tribunale di Brindisi.

E' ormai passato un anno dalla strage che costò la vita a Melissa Bassi, rovinando per sempre quella di numerose altre famiglie, come quelle delle nove persone rimaste ferite. Tra le quali le sorelle Vanessa e Veronica Capodieci, amiche di Melissa. Alle 7,42, l’ora dell’esplosione dell’ordigno, un anno dopo, Massimo Bray e Maria Chiara Carrozza, neo-ministri rispettivamente alla Cultura e all’Istruzione, hanno indossato quell’indumento che fu il simbolo  di un anno zero, di un momento di cesura storica nella cronaca salentina. Nel susseguirsi di manifestazioni e cortei  che seguì la deflagrazione, infatti, centinaia di studenti esibirono lo slogan “Io non ho paura”.

A quell’urlo, a 365 giorni di distanza,  hanno aderito, oltre ad alcuni studenti di Scampia - che hanno dedicato alla memoria di Melissa Bassi il nome della loro scuola-  anche i rappresentanti del governo, tra i quali il vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, i quali hanno deposto un mazzo di rose bianche, ai piedi della stele, omaggio alla 16enne originaria di Mesagne, rimasta il simbolo della vita strappata senza ragione. Senza un motivo razionale.

Il gesto fu compiuto dall’imprenditore copertinese Giovanni Vantaggiato, reo confesso, nei confronti del quale lo scorso 17 gennaio è stato avviato il processo e che dovrà rispondere di strage aggravata dalla finalità terroristica, detenzione ed esplosione di ordigno micidiale e del tentato omicidio di Cosimo Parato, imprenditore agricolo di Torre Santa Susanna, sempre nel brindisino, risalente a cinque anni addietro.

Tutto ebbe inizio in quella mattinata di maggio, uno di quei giorni frizzanti sia per le temperature, sia per la fine delle lezioni e l’estate alle porte. Un  ordigno composto da tre bombole di gpl, piazzate dietro un cassonetto in metallo, utilizzato per la raccolta differenziata del vetro, esplose al momento dell’arrivo di un autobus di linea che traportava le studentesse provenienti dall’entroterra brindisino. Da cittadine come Francavilla Fontana, Latiano e Mesagne. Luoghi di provenienza della maggior parte delle passeggere. Melissa Bassi, figlia unica di un piastrellista e di una casalinga, restò martoriata dalla deflagrazione, spirando poco dopo la corsa contro il tempo per raggiungere  l’ospedale “Antonio Perrino”.melissa-bassi-2-2-2

Si batterono tutte le piste, in quelle ore di estrema tensione, che si propagò lungo lo Stivale. IL'attenzione degli inquirenti, accorsi sul luogo dell’attentato da tutta Italia, si focalizzò in un primo momento sui movimenti eversivi. Ci fu un dispiegamento di forze dell’ordine e l’intervento dei migliori investigatori. Sul posto giunsero anche il procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, oltre al prefetto di Brindisi, Nicola Prete e dell’allora procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, attualmente presidente del Senato della Repubblica, per partecipare alla riunione del Comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico con i vertici delle forze dell'ordine e la magistratura. 

A preoccupare gli inquirenti in quelle ore, infatti, fu il sospetto di un’efferata azione pianificata e messa a segno dalla Sacra corona unita. Forse per colpire la figlia di un personaggio scomodo. A suffragare quei timori, il fatto che nei pei primi giorni di maggio dello scorso anno,  un maxi blitz disposto dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo salentino, portò all’arresto di sedici individui, ritenuti esponenti a vario titolo della “quarta mafia”, attivi proprio nella zona della cittadina di Mesagne.

Ma tutte le ipotesi si sbriciolarono nella notte dell’11 giugno, quando la folla accalcata con il fiato sospeso all’esterno degli uffici della questura di Lecce, venne a conoscenza del fermo di Giovanni Vantaggiato, protagonista di una vicenda giudiziaria che raggela ancora il sangue. E che ha fortunatamente ha riconsegnato al dimenticatoio altre persone, ingiustamente additate come colpevoli e coinvolte durante le indagini, nel tourbillon di follia e paura che provocò insonnie e ansie anche al più anestetizzato degli animi.

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