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Sabato, 20 Aprile 2024
Il delitto di Collepasso / Collepasso

Anziano morì carbonizzato in casa, figlio condannato a 22 anni di reclusione

La Corte d’Assise d’appello di Lecce ha alleggerito la condanna per omicidio volontario nei riguardi di Vittorio Leo, l’agente immobiliare 50enne di Collepasso, al quale in primo grado furono inflitti 30 anni

COLLEPASSO - E’ scesa da trent’anni a ventidue di reclusione la condanna inflitta a Vittorio Leo, l’agente immobiliare 50enne di Collepasso accusato della morte del padre Antonio, di 89 anni, trovato carbonizzato nel bagno della sua abitazione, in via Don Luigi Sturzo, il 29 maggio del 2019.

La sentenza emessa oggi dalla Corte d’Assise d’appello di Lecce, composta dal presidente Vincenzo Scardia e a latere, dal giudice Giuseppe Biondi, ha così alleggerito la pena inflitta il 3 dicembre del 2020 nel processo di primo grado nel quale l’imputato, finito sott’accusa per omicidio preterintenzionale, fu riconosciuto responsabile di quello volontario.

Stando alla difesa, rappresentata dall’avvocato difensore Francesca Conte, si trattò di un brutto incidente.

“Non volevo ucciderlo. Ma quando il corpo di mio padre ha preso fuoco, sono rimasto immobilizzato dal panico”, si difese così il 50enne, dopo il suo arresto, spiegando che il genitore si trovava ai fornelli per preparare il pranzo, quando in reazione a una sua offesa, l’ennesima, gli lanciò addosso l’alcol contenuto in una bottiglietta utilizzata per medicarsi una ferita alla mano.

Le fiamme venute a contatto con la sostanza avrebbero così raggiunto la vittima che si dimenò da una stanza all’altra, raggiungendo il bagno nel tentativo di spegnerle. Il figlio, invece, preso dal panico – così si giustificò – assistette alla scena senza muovere un dito.

Il giudice per le indagini preliminari Giovanni Gallo, che interrogò Leo, valutò i suoi comportamenti - dal mancato aiuto a quelli avuti subito dopo il decesso del genitore, in particolare l’aver pulito meticolosamente casa, mangiato un piatto di pasta e riposato sul divano, prima di allertare i soccorsi – chiara espressione di una volontà omicida.

E il movente, stando alle indagini condotte dal pubblico ministero Luigi Mastroniani, risiederebbe proprio nell’odio maturato dal 50enne, al quale spesso il padre gli avrebbe rivolto frasi sprezzanti, come “togliti di mezzo”, “vattene”, “sparisci”, pronunciate, quella mattina del 29 maggio, prima di diventare una torcia umana.

A riferirlo fu lo stesso Leo, durante le indagini, raccontò di aver lanciato l’alcol, in segno di stizza, dopo essere stato offeso per l’ennesima volta, perché il familiare non avrebbe perso occasione per mortificarlo e schiacciare la sua personalità.

L’anziano, che aveva dedicato un’intera vita all’insegnamento, si sarebbe messo in cattedra anche in casa, bacchettandolo per ogni scelta: mai una parola d’amore o di incoraggiamento, ma di disprezzo per il fatto di aver abbandonato gli studi di ingegneria per diventare un agente immobiliare, e di non aver messo su famiglia.

Di questi rapporti familiari burrascosi, peggiorati dopo la scomparsa della madre, Leo ne parlò anche in aula, davanti alla Corte d’Assise che lo condannò a trent'anni di reclusione.

Come detto, nelle scorse ore, la pena è stata alleggerita, ma per conoscere le motivazioni bisognerà attendere i prossimi giorni.

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