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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Operazione Cinemastore: arresto in spiaggia per Pasquale Briganti

Rintracciato a Capilungo, la marina di Alliste, il 43enne era ricercato dagli agenti della squadra mobile di Lecce dallo scorso gennaio, quando era sfuggito al maxi-blitz nell'ambito dell'operazione denominata "Cinemastore"

LECCE - Stanato dal bunker della storia locale. Gli agenti della squadra mobile di Lecce gli davano la caccia a partire dallo scorso 24 gennaio, quando era sfuggito al maxi-blitz nell'ambito dell'operazione denominata "Cinemastore". Una latitanza, condotta con disinvoltura,  terminata nel tardo pomeriggio di venerdì, intorno alle 19,  quando gli uomini della mobile, guidati da Michele Abenante, hanno arrestato Pasquale Briganti, 43enne leccese, l'ultimo dei volti sfuggiti al blitz, dopo una giornata di scrupolosi e cauti appostamenti. Oltre a lui, infatti, in quella fredda mattinata di gennaio, erano sfuggiti alla cattura anche i fratelli Giuseppe e Roberto Nisi, 51e 59 anni, di Lecce: il primo si era consegnato alla giustizia poche ore dopo, il secondo era stato fermato il 12 maggio scorso nella stazione Termini a Roma. BRIGANTI Pasquale[1]-2

Quando è stato intercettato, Briganti si trovava in spiaggia, in località Capilungo, una delle marine di Alliste, con la figlia della convivente, un'amica di questa e altri conoscenti. Gli agenti, da diversi giorni, avevano individuato un'abitazione di riferimento, nel borgo marino ha opposto resistenza agli agenti che, pochi istanti prima, dopo aver "bonificato" la zona, come si dice in gergo, sono intervenuti. Né ha tentato di modificare, nei mesi della propria latitanza,  il colore dei capelli  o alcuni tratti morfologici, come invece aveva improvvisato l'altro affiliato sfuggito all'arresto, Roberto Nisi.

La fuga è stata favorita da continui e frenetici cambi di domicilio, trasferimenti in posti non sospetti in fughe che hanno sfiorato anche i confini regionali. I lunghi momenti  in cui Briganti è riuscito ad "eclissarsi" non solo aggravano la sua posizione, ma lasciano presagire come, dietro ad una simile organizzazione della fuga, ci sia una fitta rete di contatti di copertura, oltre che ad una tutt'latro esigua disponibilità di risorse economiche. Sono le stesse  apprensioni trapelate  dalle parole del  procuratore capo della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, "Non smetterò di ribadire l'importanza strategica nell'andare a colpire il patrimonio di questi individui. Prolungare con queste tempistiche una latitanza, specie in un momento di crisi, significa disporre di ingenti quantità di denaro", nel corso della conferenza stampa di questa mattina. Alla quale, tra gli altri, erano anche presenti il questore, Vincenzo Carella, e dai dirigenti della Squadra mobile, Michele Abenante e da Rocco Carrozzo.DSC_0020-2

Le indagini sulla presunta associazione, estese in più zone dell'hinterland del capoluogo, nacquero nel corso dell'identificazione dell'autore dell'omicidio di Antonio Giannone, avvenuto a Lecce, in via Terni, la sera del 6 aprile del 2009. Per quell'efferato assassinio, è stato già arrestato e condannato Giampaolo Monaco, alias "Gianni Coda". Anche se Giannone era ritenuto uno spacciatore, i motivi dell'assassinio furono di natura personale.

L'inchiesta che si è poi sviluppata ha evidenziato un intero universo di rapporti. La polizia eseguì, in particolare, alcune intercettazioni in occasione dei colloqui intercorsi tra il detenuto Massimo Spagnolo e Carmela Salierno, convivente di Giannone. In seguito, furono avviate altre attività d'intercettazione telefonica (per circa ottanta utenze) e ambientale (all'interno di diverse case circondariali e nell'abitacolo di varie auto), che, permisero di acquisire molteplici indizi sull'esistenza di una presunta organizzazione criminale capeggiata da Pasquale Briganti (ancora latitante) e i fratelli Roberto e Giuseppe Nisi, con ramificazioni anche verso il brindisino.

Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, i fratelli Nisi sarebbero inseriti a pieno titolo nei ranghi della Scu, con un peso consistente su Lecce e in stretto rapporto con Briganti, a sua volta considerato storico rappresentante della mafia salentina. La squadra mobile di Lecce ritiene che l'organizzazione capeggiata dai fratelli Nisi e da Briganti, avrebbe controllato tra l'altro, l'attività del gioco d'azzardo - con la gestione delle bische clandestine -, la riscossione del cosiddetto "punto" (la tangente sul commercio di droga svolto da spacciatori non inseriti nell'associazione, ma comunque assoggettati al pagamento della "tassa" verso i capi del territorio), il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, la riscossione delle estorsioni e la gestione dei rituali delle nuove affiliazioni.

Briganti, in particolare, avrebbe assunto, su Lecce e dintorni, il ruolo di responsabile dell'organizzazione mafiosa alla quale gli affiliati si rivolgevano per risolvere le controversie interne e per assicurare il rispetto delle regole. I fratelli Nisi, dal canto loro, avrebbero gestito i vari traffici illeciti. Le investigazioni sono state arricchite anche dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, che avvalorerebbero le tesi già formulate dagli inquirenti. Le conversazioni intercettate avrebbero inoltre evidenziato come l'organizzazione avesse cura dell'assistenza economica ai detenuti e alle loro famiglie, elargendo somme di denaro e cedendo cocaina per consentirle un guadagno con la rivendita.

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