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Cronaca Ugento

Basile, il presunto omicida pressato per 7 ore in aula

"Non ho ucciso io Peppino Basile". Mani tremanti, Vittorio Luigi Colitti, il ragazzo di Ugento accusato di essere con il nonno l'assassino del politico, ha letto anche una lunga lettera ai giudici

LECCE - "Non ho ucciso io Peppino Basile". Mani tremanti, jeans e maglione celeste, Vittorio Luigi Colitti, 19enne, si è difeso fermamente dall'accusa di essere ritenuto, insieme al nonno responsabile dell'omicidio di Peppino Basile, il consigliere comunale e provinciale di Italia dei valori, trucidato a coltellate sotto casa, in una notte di metà giugno di due anni or sono. Il giovane, ascoltato oggi in aula, ha messo in campo le sue verità, per ben sette ore, davanti al pubblico ministero Simona Filoni ed agli avvocati Francesca Conte e Roberto Bray. Ha raccontato di aver mentito sull'orario di rientro solo per non essere rimproverato dai suoi genitori, e non certo per nascondere un omicidio. Ma prima della sua deposizione, ha voluto leggere ai giudici uno scritto in cui ha riportato le sue riflessioni ed il suo stato d'animo per tutta questa vicenda.

"La morte di Basile ha completamente stravolto la mia vita e quella della mia famiglia; - ha scritto in una lettera indirizzata al presidente Aristodemo Ingusci ed al giudice Lucia Rabboni - perché Peppino, come tutti lo chiamavamo, non era una persona qualsiasi, era un amicone, un compare, insomma una persona di famiglia. Io ho sempre vissuto studiando e lavorando, educato dalla mia famiglia a rispettare il prossimo e le regole. I miei genitori ed i miei nonni mi hanno aiutato ad essere onesto, rispettoso e corretto. Mai avrei potuto immaginare di trovarmi accusato insieme a mio nonno di aver massacrato una persona, io che non sono mai stato capace di schiacciare una formica pur essendo un gigante".

"Lo so bene che la colpa è mia - ha aggiunto -, delle mie incertezze, della mia mancanza di coraggio nel dire subito che quella maledetta sera del 14 giugno ero rientrato più tardi del solito. Mi maledico per non aver avuto la freddezza di affrontare una situazione per me sconvolgente. Ho iniziato ad avere paura di essere coinvolto in una cosa più grande di me. Mia madre, mio padre ed i miei nonni venivano convocati in continuazione, non c'era più serenità".

"In paese - ha detto ancora il giovane di Ugento -, dove eravamo sempre stimati e rispettati, la gente iniziava a dire che in qualche modo eravamo coinvolti nell'omicidio. Solo troppo tardi ho capito che i carabinieri facevano così per investigare: se mi fossi fidato di loro, del dottor De Palma (il pubblico ministero del tribunale ordinario Ndr) e della dottoressa Filoni, sono certo che non mi sarei mai trovato in questa situazione. Il mio carattere emotivo ha fatto il resto. Non ho ucciso io Peppino Basile né tanto meno ho mai litigato con nessuno". I passaggi chiave del processo, attesi per il 20 ed il 21 dicembre, quando discuteranno gli avvocati Francesca Conte e Roberto Bray. Per la serata del 22 sarà pronunciata la sentenza.

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