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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Nuovo calendario dell’Arma: i suoi eroi raccontati con gli occhi delle famiglie

Dopo gli ultimi quattro calendari commemorativi per i 200 anni dell'Arma dei carabinieri, ognuno dedicato alla storia dalla sua fondazione, si torna ai temi che ne illustrano gli aspetti della vita quotidiana. Come quello cui il comandante generale tiene in modo particolare: la famiglia

LECCE – La prima tavola dell’edizione 2015 riporta al bicentenario appena conclusosi, con l’immagine della caserma Bergia di Torino, prima sede storica. Ma subito si passa a un soggetto figurativo che ritrae una donna in uniforme, emblema dei tempi moderni, che sistema, con amore e orgoglio, l’elegante copricapo alla figlioletta, forse augurandosi per lei un futuro altrettanto brillante nell’istituzione. Illustrazione di Monica Aruta, la studentessa selezionata tra centinaia di partecipanti all’iniziativa promossa proprio dai carabinieri, e rivolta ai licei artistici del territorio con l’intento di sviluppare il concetto di famiglia all’interno dell’Arma. Famiglia che è stata interpretata sia in senso giuridico, ovvero quale sede del nucleo familiare per eccellenza, sia nella sua accezione più ampia di gruppo d’appartenenza, corpo, appunto, quale l’Arma viene spesso intesa.

La banda rossa sui pantaloni dell’uniforme sembra a questo punto svolgersi come un ideale nastro scarlatto lungo la storia italiana, illustrando le vicende di carabinieri, uomini comuni, mariti e padri, che nella famiglia hanno visto l’essenza stessa dell’istituzione, e in quest’ultima hanno scoperto il senso d’appartenenza e lo spirito di sacrificio che li ha resi testimoni privilegiati della società del loro tempo.

E non poteva essere altrimenti, visto lo sforzo dei carabinieri di implementare il rapporto di fiducia e collaborazione con la collettività cui gli uomini in uniforme, va sempre ribadito, appartengono pur assumendosi l’arduo onere di far rispettare le regole.

Nelle splendide pagine a colori del calendario vengono, così, ricordate le gesta di grandi protagonisti come il capitano Morelli che nelle giornate campali trova il tempo per scrivere alla moglie gli avvenimenti principali e le sensazioni vissute durante la cosiddetta Carica di Pastrengo, o il maggiore Alessandro Negri – era il comandante dei tre squadroni che vi parteciparono – il quale, invece, scrive abitualmente alla madre e in una delle sue epistole parla dell’orgoglio provato nell’aver guidato la testa della scorta del re d’Italia durante il suo rientro a Milano.

In un’altra tavola si ricorda la figura di Chiaffredo Bergia, soprannominato “il padre di famiglia terrore dei briganti”, indimenticabile attore della lunga lotta al brigantaggio che si svolse lungo i luoghi più impervi del Paese ancora in formazione tra gli anni 1860-70. Egli portò avanti una vera campagna militare sulle montagne d’Abruzzo, soprattutto tra il pescarese e il chietino, dove impazzava la banda del bandito Pomponio. Concluse la carriera a Bari nel 1892 con ben due medaglie al valor militare. Oggi il capoluogo lo commemora quotidianamente con la caserma a lui intitolata, sede del comando regionale dell’Arma. E, ancora, il comandante Amenduni che prese parte alla battaglia di Adua, durante la guerra di Abissinia, che testimonia alla madre i suoi giorni di guerra.

Alla vigilia dell’ingresso d’Italia nel secondo conflitto mondiale Orazio Greco, forse salentino, ci lascia un toccante biglietto indirizzato alla madre in cui rivela all’anziana donna le proprie ansie prima dell’azione. Ciò nonostante si lancia in battaglia eroicamente aprendo un varco ai commilitoni ma finendo mitragliato dalle postazioni nemiche. Il bandito sardo Sanna Sanna che si dedicava all’abigeato fu sconfitto dal vicebrigadiere Lussorio Cau, militare di umili natali che tuttavia gli consentirono d’infiltrarsi per sei mesi all’interno della banda per acquisirne metodi criminali e spostamenti abituali.

Il carabiniere Cimarrusti, medaglia d’oro al valor militare, che la madre riceve nel 1937 direttamente dal comandante generale il quale si vede opporre l’unica richiesta della povera donna che è quella di poter rivedere il corpo dell’amato figliolo caduto in Somalia nel ’35. La tavola raffigura l’assalto di Cimarrusti che ebbe l’ardire, e l’ardore, di affrontare da solo la cavalleria somala per consentire ai commilitoni di avanzare lungo la linea nemica.

Non poteva mancare un omaggio a Salvo D’Acquisto, ritratto in sella alla sua moto. Un uomo la cui forza d’animo e freddezza, verosimilmente, si devono ai trascorsi in seminario. Tanto che l’Arma ne illustra il foglio d’immatricolazione all’atto di arruolarsi non appena uscito dal seminario dei frati salesiani.

Non si poteva tralasciare il testamento scritto dal trentenne, all’epoca, Francesco Pepicelli uno dei 334 italiani uccisi nelle fosse ardeatine dopo le torture subite nella prigione di via Tasso a Roma. Pepicelli scrive le sue ultime volontà pochi giorni dopo essere entrato nel fronte di resistenza clandestino dei carabinieri, durante l’occupazione nazista. Forse era già consapevole del sacrificio che lo attendeva ma proprio questa consapevolezza fu la sua forza, e dovette contribuire alla maggior determinazione che ha fatto, anche di quest’uomo, un eroe della nostra patria.

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