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Cronaca Calimera

Il figlio del caposcorta Montinaro: "L'Italia è scesa a patti con Brusca"

Giovanni, figlio dell'agente di Calimera che morì nell'attentato di Capaci: "Si giustifica la scarcerazione celandosi dietro le leggi volute da Falcone". La vedova Tina: "È più difficile dire che bisogna stare dalla parte dello Stato"

LECCE - Antonio Montinaro, poliziotto di Calimera, morì con gli altri uomini della scorta il 23 maggio del 1992, nell’attentato di Capaci, nei pressi di Palermo, ordito contro il magistrato Giovanni Falcone, in cui perse la vita anche la moglie Francesca Morvillo. Fu Giovanni Brusca a premere il dito su telecomando che azionò la bomba composta da 500 chili di tritolo. E che Brusca, conosciuto negli ambienti di Cosa Nostra come u verru e scannacristiani (nomignoli che lasciano poco spazio alla fantasia circa la “fama” che lo circondava) sarebbe tornato presto libero, non sorprende più di tanto. Di sicuro non sorprende Giovanni Montinaro, figlio di Antonio, che aveva 21 mesi quando il padre perse la vita. La sua collaborazione con la giustizia gli ha permesso di evitare il carcere a vita.  

“Sapevamo che sarebbe successo, non è una sorpresa, non è un fulmine a ciel sereno, è la triste realtà”, commenta oggi in un’intervista rilasciata alla giornalista Elvira Terranova dell’agenzia AdnKronos. “Il nostro Paese è sceso a patti con uno dei criminali più efferati di sempre, uno di quelli che neanche ricorda il numero preciso delle proprie vittime. Questo non solo ci rattrista - aggiunge, amareggiato - ma ci dà anche da pensare. Perché si giustifica la scarcerazione di Giovanni Brusca nascondendosi dietro il metodo del dottor Falcone, dietro le leggi da lui volute”.

Giovanni Montinaro porta con fierezza il proprio nome di battesimo. Mamma Tina e papà Antonio glielo diedero proprio in onore del magistrato che in quegli anni, con le sue inchieste, stava agitando fortemente le acque della mafia siciliana, sconquassando i piani, facendo luce su segreti indicibili, aprendo uno squarcio nel muro dell’omertà.  

“Dimentichiamo che il dottor Falcone pretendeva la verità assoluta, la pena per coloro che collaboravano - aggiunge Giovanni Montinaro - in parte era la perdita dei privilegi, lo Stato deve mantenere la propria parola, deve ed ha mantenuto la propria parola. Viste le innumerevoli vicende giudiziarie legate alle stragi viene da pensare se quel tumore dalle sembianze umane ha mantenuto la propria di parola, ma pretendere un gesto così dignitoso, come rispettare la parola data, da coloro che non hanno dignità è già un sottovalutare il nemico”.

“Mi auguro solamente - prosegue - che Brusca venga mandato lontano, lontano dalla mia Sicilia. Per sfregio ai siciliani – dice però subito dopo, con fermezza -, troppo spesso carenti di coraggio, andrebbe portato qui. Ma questo non dovrà accadere, perché fra tutti questi siciliani, ci siamo noi, che lo siamo per adozione, ma siamo comunque più siciliani di tutti gli altri, perché questa terra si è macchiata del sangue del mio sangue, perché questa terra è terra di lotta anche grazie a mio padre”.

“Lui, mio padre, starà ridendo, ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco - ribadisce ancora Giovanni Montinaro - ma quando ci rincontreremo gli chiederò scusa per certe mancanze. Perché io sono parte dello Stato e accetto che il Paese mantenga la parola. Ci dovevamo accertare che il nemico facesse lo stesso”.

La vevoda Tina: "Provo un grande fastidio"

All’agenzia Dire, Tina Montinaro, la vedova di Antonio, ha invece detto: “La scarcerazione di Giovanni Brusca lascia senza parole. Adesso i sapientoni e gli opinionisti andranno in tv a dire la loro, ma io in questo momento provo un grande fastidio. Ho lottato e continuerò a lottare per il cambiamento e per diffondere il sentimento di legalità tra i giovani, ma oggi è più difficile dire che bisogna stare dalla parte dello Stato”.

“Brusca - ha proseguito - è fuori dal carcere ma noi non sappiamo ancora tutta la verità sulle stragi. Queste sono le risposte che dà lo Stato a chi ha dato la vita per difenderlo. Per quanto mi riguarda continuerò le mie battaglie e continuerò a fare capire ai ragazzi che devono scegliere da che parte stare perché noi nella Polizia di Stato ci crediamo e continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto”.

Proprio il 24 maggio, a Calimera, si è tenuta una giornata in ricordo del caposcorta, organizzata come ogni anno dalla sorella del poliziotto, Matilde Montinaro, con la sua associazione, Nonemi. Una giornata alla quale hanno partecipato il presidente regionale Michele Emiliano e il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti. Proprio quest’ultimo, nell’occasione, ha fornito una preoccupata lettura critica su come la percezione generale, basata sul fatto che oggi, rispetto al passato, vi siano meno omicidi e fatti di sangue, stia portando a un pericoloso senso di normalizzazione del fenomeno mafioso.

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