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Cronaca Guagnano

Curata per un cancro inesistente, morta di leucemia: citata l'Asl

Bruna Perrone di Guagnano spirò dopo essere stata "bombardata" con cure invasive per un angioma scambiato per un grosso tumore al fegato. Quattro sono i medici del "Sambiasi" indagati. Oggi avvenuta la costituzione di parte civile

 

LECCE – Morta di leucemia, forse anche per cure sbagliate, a causa di una diagnosi errata di cancro al fegato. Un tumore, quest’ultimo, inesistente. Un clamoroso errore, perché in realtà si trattava, come accertato, di un innocuo angioma gigante, una massa benigna di 18 centimetri. E così, sotto un bombardamento di inutili e, a quel punto, probabilmente dannose cure invasive, la signora Bruna Perrone di Guagnano, a soli 58 anni, nel giugno del 2008 esalò il suo ultimo respiro.

Il caso ha del paradossale, e fu portato alla luce sul finire del 2009 dagli avvocati Rocco Vincenti e Stefano Prontera. Oggi, per conto dei parenti della vittima, i due legali si sono costituti parte civile nel procedimento che vede indagati quattro medici dell’ospedale “Sambiasi” di Nardò, che fascicolo che fu aperto dal sostituto procuratore Nicola D’Amato.

I legali dei parenti di Bruna Perrone, in aula, hanno chiesto la citazione per responsabilità civile dell’Asl di Lecce, che il gup Antonia Martalò ha accolto, stilando il decreto.  L’udienza, nel corso della quale si stabilirà l’eventuale rinvio a giudizio, è stata aggiornata all’8 marzo del 2012. E sembra quasi un segno del destino, che ricada proprio nel giorno della festa delle donne.

La vicenda merita un breve excursus. La donna iniziò a lamentare alcuni fastidi nell’estate del 2004, specie sedendosi o compiendo alcuni movimenti. Una pressione, proprio all'altezza dell'addome. Il 14 luglio di quell’anno, su indicazione del suo medico curante, si sottopose a un'ecografia presso uno studio radiologico. Le lastre indicarono "la presenza di una neoformazione del diametro massimo superiore a centimetri 18". Le furono consigliate ulteriori analisi, con una Tac con mezzo di contrasto. Anche se già il giorno successivo, dal laboratorio di patologia clinica dell'ospedale di Campi Salentina, arrivò una sorta di rassicurazione: le analisi del sangue presentavano valori nella norma.
Proprio per avere certezze definitive, il 20 luglio la signora Perrone si sottopose ad una Tac all'addome superiore ed inferiore. Diagnosi nefasta: "Vasto epatocarcinoma con metastatizzazioni – manifestazioni nodulari iperdense di vario volume - metastatizzazioni ivi concomitanti". In parole povere, cancro al fegato, con metastasi.

Il 29 luglio del 2004 la donna si recò presso il presidio ospedaliero di Nardò. Dove fu ribadita una diagnosi di carcinoma epatocellulare. Ma, come ravvisato dagli avvocati, presso il “Sambiasi” la paziente non sarebbe stata sottoposta ad altre analisi per approfondire il caso. Di fatto, furono avviate subito le cure. Iniziò un calvario, poiché fu sottoposta al cosiddetto "protocollo mitoxantrone 1-8-21", trattamento con cadenza bisettimanale. Si andò avanti così fino al 13 aprile del 2007.

ospedale_Sambiasi_di_Nardo-10-4Periodicamente, la paziente sostenne anche esami radiologici, il primo dei quali è datato 3 marzo del 2005, ma la diagnosi non cambiò mai per lungo tempo. Il 23 settembre dello stesso anno, un'altra Tac. Referto: "La massa epatica che interessa pressoché completamente il lobo destro appare invariata per dimensioni e caratteristiche sensitometriche rispetto al precedente esame del 3 marzo 2005". Vale a dire, che la chemioterapia non stava generando effetti. Il presunto tumore non regrediva.

Altri due esami furono svolti il 18 maggio del 2006 e il 13 settembre dello steso anno. Ma solo il 13 aprile del 2007 un medico, eseguendo un'ulteriore Tac, si accorse che forse si era in presenza di un errore. Per la prima volta si sostenne la tesi di un "angioma gigante del lobo epatico di destra e di piccoli angiomi nel lobo epatico di sinistra". La conferma definitiva, grazie ad altri due esami radiologici, il primo del 25 settembre 2007, presso l'unità operativa di neuroradiologia del "Vito Fazzi" di Lecce, il secondo nel reparto di radiologia dell'ospedale di Nardò. "Angioma gigante" fu il referto ultimo. Errore di diagnosi e quindi terapia sbagliata.

Ma nel frattempo era insorta una "citopenia del sangue periferico", e la causa potrebbe essere proprio l'esposizione al bombardamento chemioterapico. Un'ipotesi basata sulle conoscenze mediche attuali e sulle statistiche, più che una certezza, almeno per il momento.

Nel giugno del 2008, la signora Perrone decise di rivolgersi presso la clinica ematologica del policlinico San Matteo di Pavia. La diagnosi fu tremenda: "Sindrome mielodisplastica tipo anemia refrattaria con eccesso di Blasti". Si decise di operare, con un trapianto del midollo, ma il disperato intervento non servì a strappare la signora Perrone dalla morte, a causa di una leucemia mieloide acuta e a disturbi del sistema cardiocircolatorio. Ora, un processo potrebbe chiarire i diversi livelli di responsabilità, in una storia che sembra nutrirsi di aspetti a dir poco surreali. 

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