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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

"Remetior", 39 anni di carcere per il boss Caramuscio e la moglie

Ventisei anni per "Scaramau", 13 per Simona Sallustio: queste le condanne inflitte dai giudici nell'ambito dell'operazione che venne portata a termine dalla squadra mobile di Lecce nel luglio del 2010

 

LECCE - I giudici della prima sezione del Tribunale di Lecce (presidente Stefano Sernia) hanno condannato a 26 anni di reclusione Salvatore Caramuscio, figura chiave del processo nato dalla cosiddetta operazione "Remetior", che il 16 luglio del 2010 portò all’esecuzione di 19 ordinanze di custodia cautelare. Per Simona Sallustio, 41enne di Lecce, moglie di Salvatore Caramuscio, la condanna inflitta è di 13 anni di reclusione. Le richieste di condanna invocate per la coppia dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi, al termine di una lunga e articolata requisitoria, erano state rispettivamente di 30 e 15 anni di carcere. I due, assistiti dall'avvocato Panataleo Cannoletta, sono stati gli unici a scegliere di essere giudicati con il rito ordinario. 

caramuscio-2-2Gli arresti, eseguiti dagli agenti della squadra mobile di Lecce, sgominarono un presunto clan criminale che agiva nel nord Salento e che avrebbe fatto capo proprio a Caramuscio, 42enne di Surbo, alias Scaramau, il boss della Sacra corona unita (già condannato all'ergastolo) arrestato nel marzo del 2009, in un'abitazione a Cassano delle Murge. La sua latitanza durava da oltre sei mesi ed era nella lista dei 100 ricercati più pericolosi. 

Le ordinanze di custodia cautelare furono emesse dal gip del Tribunale di Lecce, Antonio Del Coco, su richiesta del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Guglielmo Cataldi. Il sodalizio malavitoso, che avrebbe agito fra Lecce, Surbo, Squinzano e Trepuzzi, era dedito a varie attività criminali tra cui l'estorsione, l'usura, il traffico di droga (cocaina e hashish), la detenzione di armi da fuoco e munizionamento da guerra e la di gestione di bische clandestine. L'obiettivo era il controllo di numerose attività economiche, in modo da arrivare anche a ostacolare il libero esercizio del voto (un’ipotesi emersa nelle intercettazioni telefoniche e ambientali).

A proposito di modalità di collegamento tra gli affiliati al clan, nella sua ordinanza il gip Del Coco parlò di una sorta di tavola pitagorica che fungeva da codice di decrittazione dei numeri delle schede telefoniche di Caramuscio. Alla base del sistema vi sarebbe stato il trucco, assai noto, di cambiare frequentemente le sim-card, intestate sempre a terze persone, in modo da sviare gli investigatori. Il prospetto fu ritrovato in casa di Primiceri durante le perquisizioni, mentre emerse che sarebbe stato Buscicchio ad avere il compito di recuperare cellulari e schede.

Diversi i beni sequestrati nell’ambito dell’operazione, per un valore complessivo di circa mezzo milione di euro. Tra questi un terreno di 8mila metri quadri, vicino a Squinzano, autovetture e moto, un'imbarcazione e persino di un allevamento di cavalli nei pressi di Surbo. 

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