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Cronaca

“Pane e veleno”, la scelta impossibile dell’Ilva raccontata da un operaio

Cataldo Ranieri, in un'assemblea pubblica a Lecce, racconta un'altra verità sul siderurgico: "Protesta pilotata dall'azienda". L'epidemiologo Emilio Gianicolo conferma che "gli studi incrociati raccontano di una salute compromessa"

LECCE - Un’altra verità sul siderurgico di Taranto è possibile: il messaggio, forte, viene lanciato da un’assemblea di cittadini, tra cui gli attivisti del “Forum ambiente e salute” che oggi, nel cuore del centro storico leccese, ha ospitato due voci fuori dal coro. Protagonisti capaci di raccontare un nuovo punto di vista sul rebus irrisolvibile  della scelta tra “il pane ed il veleno”: un lavoratore dell’Ilva, Cataldo Ranieri ed un epidemiologo del Cnr, Emilio Gianicolo.

L’operaio ha esordito con un resoconto di quel 26 luglio quando “furono i capi e non i sindacalisti ad avvisarci che stavano mettendo i sigilli nell’area a caldo dello stabilimento e che dovevamo correre fuori, a bloccare la città”. Un presunto invito che ha colto Cataldo impreparato. E scettico: “Non ero d’accordo sul recare un danno ai miei concittadini, vittime alla pari dei fumi dell’Ilva. La mia città ormai è un luogo in cui ci si incontra per scambiarsi il bollettino dei decessi di amici e parenti. Mentre il ministro della Salute non è mai venuto a trovarci”. Una “vergogna”, la definisce senza mezzi termini lui che, in quel giorno di confusione primordiale, ha preferito recarsi sul ponte girevole della città. Qui, nel traffico impazzito e tra i blocchi stradali, cercava di far capolino un signore anziano. Sventolando un certificato medico che attestava la necessità di correre all’ospedale, per consentire alla moglie di effettuare il consueto ciclo chemioterapico.

Una scena paradossale, che condensa il dramma di quella scelta impossibile tra il lavoro e la salute. Piombata addosso ai cittadini, ai lavoratori dopo l’ultimo atto della faticosa vicenda Ilva: la decisione del gip Patrizia Todisco di chiudere le aree a caldo dello stabilimento. L’accusa alla famiglia Riva, quella che si respirava da tempo in città – dicono gli interessati - così come si respirano le esalazioni del siderurgico, è di “disastro ambientale”. 

E “mentre noi, gli operai eravamo fuori a protestare, convinti che la fabbrica fosse chiusa, i sigilli non erano ancora stati apposti”. La “meschina messa in scena organizzata dalla proprietà che ha pilotato la protesta”, ne è convinto Cataldo, sarebbe servita a mandare un messaggio “minaccioso e preciso”: “Guardate cosa vi attende quando l’Ilva verrà chiusa”. Lo spauracchio della possibile perdita di un lavoro sbandierato ai quattro venti “per disorientare”, mentre lo “Stato ha inviato i propri uomini sul territorio per salvaguardare i propri interessi, non in nome del bene pubblico”. 

Il capitolo “inquinamento e prevenzione primaria” si apre con l’intervento, non meno coraggioso, di Emilio Gianicolo: uno che il processo l’ha vissuto dall’interno, in qualità di perito scelto dagli allevatori del posto. L’epidemiologo si è detto colpito dalle dichiarazioni del nuovo presidente Bruno Ferrante, nella parte in cui “parlava di presunte perizie che racconteranno una verità diversa in merito all’inquinamento, e che verranno consegnate alle autorità in una data imprecisa”. Secondo Gianicolo, l’incidente probatorio era l’occasione giusta che aveva Ilva di presentare le sue controperizie: “Eppure in quella fase dell’udienza, si è espressa su aspetti del tutto marginali”.

Ma oltre i dettagli giudiziari, “gli studi, anche quelli più evoluti che incrociano dati ambientali e sanitari, ci raccontano in modo coerente che la salute pubblica è compromessa”. “E non solo a Taranto”, sottolineano i presenti all’assemblea che non sembrano avere molti dubbi rispetto ad una possibile incidenza negativa anche nella limitrofa provincia di Lecce. “La contaminazione sulle scuole del quartiere Tamburi è ancora in corso e non è un pericolo risalente a dieci anni addietro. – incalza Emilio Gianicolo – E le conseguenze non si misurano solo nel numero di decessi per tumore, ma anche dall’incremento di ricoveri per malattie respiratorie, cardiovascolari che colpiscono anche i più giovani”. Bambini minuscoli e ragazzi fino a 14 anni, precisa l’epidemiologo che chiude il cerchio denunciando la necessità “di mettere in atto una prevenzione primaria, a cominciare dagli impianti”.

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