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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Clan Moccia, a giudizio il consigliere comunale Guido e altri 46

Si aprirà il 17 ottobre il processo nato dall'inchiesta della Procura di Napoli sul sodalizio camorristico. Tra gli imputati, il politico leccese, ai domiciliari dal 20 aprile, con l'accusa di aver intascato una mazzetta

LECCE - Si chiude con un decreto di giudizio immediato (quindi senza il passaggio intermedio dell’udienza preliminare) l’inchiesta della Procura partenopea sul clan Moccia che lo scorso 20 aprile è sfociata in diversi arresti. Tra questi, quello del consigliere di minoranza Andrea Guido, ai domiciliari.

C’è il suo nome nell’elenco dei 47 imputati (non compare invece quello dell’ex vicepresidente del consiglio comunale di Bari Pasquale Finocchio coinvolto nello stesso procedimento per traffico di influenze illecite) che a partire dal 17 ottobre, dovranno presentarsi dinanzi ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Napoli Nord.

Per lui l’accusa è di corruzione aggravata dall’aver agevolato il sodalizio camorristico attenzionato dagli inquirenti. In particolare, avrebbe intascato 4mila euro (su una somma inizialmente concordata che sarebbe stata di 5mila) in due tranche, tra l’aprile e l’agosto del 2017, quindi negli ultimi mesi del mandato (terminato a fine luglio) di assessore nella giunta dell’allora sindaco Paolo Perrone, da parte di Francesco di Sarno, 50enne di Napoli, considerato braccio economico del clan.

A fare da intermediari tra il capo e Guido, sempre secondo l’accusa, sarebbero stati Mario Salierno, 44enne di Napoli, e Giuseppe D’Elia, 55enne di Novoli. Quest’ultimo, che per i suoi servigi, avrebbe ricevuto un orologio Rolex, degli occhiali e 500 euro, finito anche lui ai domiciliari, è poi tornato in libertà poiché il mancato riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa da parte del Tribunale del Riesame, ha determinato una riduzione dei termini di custodia cautelare.

Per il politico leccese, invece, i giudici della Libertà hanno confermato la misura, ritenendo sussistente quell’aggravante. La decisione ha destato non poco stupore nei difensori di Guido, gli avvocati Ivan Feola e Andrea Sambati che in una nota avevano dichiarato: “Tale discrasia tra i due provvedimenti - emessi non solo nello stesso procedimento e dallo stesso tribunale, ma addirittura dalle stesse persone fisiche -  ci lascia esterrefatti”.

Ora non resta che attendere come si pronuncerà, a metà ottobre, la Corte di Cassazione, dinanzi alla quale è pendente il ricorso.

La difesa sostiene che il quadro accusatorio si basi esclusivamente su alcune intercettazioni telefoniche che riportano conversazioni fra soggetti terzi, che non vedono mai Guido tra gli interlocutori; né sono indicati tempi e modi della asserita consegna del denaro, che sarebbe oggetto della contestata corruzione.

Per questi, inoltre, un dato non trascurabile è che i coimputati campani all’epoca dei fatti, nel 2017, non solo erano totalmente incensurati, ma la loro società, la Soloil, era regolarmente inserita nella White list della locale prefettura. Insomma, solo col procedimento in questione l’autorità giudiziaria napoletana avrebbe scoperto i loro presunti rapporti con il clan.

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