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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Porto Cesareo

Coppia massacrata in casa a Porto Cesareo, condanna all'ergastolo per Tarantino

Condanna all’ergastolo nel giudizio abbreviato che vedeva imputato Vincenzo Tarantino, 51enne di Manduria, il presunto autore di uno dei delitti più efferati della storia del Salento: il duplice omicidio di Luigi Ferrari, 54 anni, e di sua moglie, la 55enne Antonella Parente, massacrati a Porto Cesareo alle prime luci dell’alba del 24 giugno del 2014

LECCE – Condanna all’ergastolo nel giudizio abbreviato che vedeva imputato Vincenzo Tarantino, 51enne di Manduria, il presunto autore di uno dei delitti più efferati della storia del Salento: il duplice omicidio di Luigi Ferrari, 54 anni, e di sua moglie, la 55enne Antonella Parente, i coniugi massacrati nella loro abitazione di Porto Cesareo alle prime luci dell’alba del 24 giugno del 2014. La sentenza, accolta con un lungo applauso dai famigliari delle vittime, è stata emessa nel primo pomeriggio dal gup Michele Toriello, che ha condannato a risarcire ognuna delle parti civili con 100mila euro. I familiari delle vittime si sono costituiti parte civile con gli avvocati Francesco Spagnolo, Giuseppe, Michele e Giulia Bonsegna, Vincenza Raganato e Gianluca Coluccia. Nella sua arringa il legale di Tarantino, l’avvocato Giada Trevisi, aveva sostenuto l’estraneità del suo assistito ai fatti contestati. Una tesi non condivisa dal giudice.

“Non dimenticherò mai quello che ho visto in quella casa”. Si era aperta così la lunga e minuziosa requisitoria con cui il pubblico ministero Giuseppe Capoccia (sostituio dalla collega Angela Rotondano) aveva chiesto l’ergastolo per il 51enne. Un lungo viaggio nell’orrore di una vera mattanza, con il rosso del sangue (presente ovunque), simbolo della morte e della ferocia a contraddire la quotidianità di una tavola ancora apparecchiata. L’accusa aveva sottolineato l’assoluta mancanza di resipiscenza dell’imputato, che non ha mai dimostrato alcun pentimento o rimorso. Inoltre, la versione fornita nell’ultimo interrogatorio, con una ricostruzione puntuale e precise dei fatti e le accuse nei confronti di un’altra persona dimostrerebbe l’assoluta lucidità di Tarantino.

L'avvocato Giada Trevisi, aveva chiesto per il suo assistito il giudizio con rito abbreviato condizionato alla consulenza psichiatrica, poi affidata dal gup a Domenico Suma. Lo psichiatra forense ha stabilito che il 51enne era capace di intendere e volere al momento del massacro, compiuto con lucida e spietata brutalità, ricordandoci, come ha scritto Eschilo, che il male esiste e spesso siede alla nostra stessa tavola. Diametralmente opposti i risultati della consulenza redatta per conto della difesa dallo psichiatra Pompilio Palmariggi e dalla psicologa Emanuela Settimo, già depositata agli atti.

Fu un vero massacro quello compiuto in via Vespucci, una strada periferica di Porto Cesareo, nell’abitazione dei coniugi Ferrari. Ben trenta, infatti, i colpi inflitti con un piede di porco, secondo quanto stabilito dall’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Vaglio e dai carabinieri del Ris, a Luigi Ferrari.

L’uomo, con ogni probabilità, cercò di difendersi dalla furia omicida dell’assassino. Una decina, invece, quelli che spezzarono la vita della donna. Uno spettacolo atroce quello che si è materializzò dinanzi alla figlia della coppia, la prima a scoprire i corpi dei genitori riversi in un lago di sangue, con i volti devastati dai colpi inferti. Quello di Tarantino non era certo un volto estraneo per la famiglia Ferrari: è l’ex convivente di una nipote della coppia ferocemente assassinata, con cui aveva avuto screzi e attriti.

Oltre a cercare Tarantino, i carabinieri sentirono un amico del presunto assassino, che lo aveva ospitato due giorni prima. A lui Tarantino aveva già raccontato di voler compiere un furto nell’abitazione della coppia, dove nella cassaforte erano custoditi i soldi per le spese relative al matrimonio del figlio. Il 51enne si recò dall’amico, invitandolo ad accompagnarlo. Dinanzi al rifiuto dell’uomo, decise di recarsi da solo a casa dei Ferrari, portando con sé una scala e gli attrezzi per scassinare la cassaforte, convinto che a quell’ora in casa non ci fosse nessuno. Invece, con ogni probabilità, la coppia fu svegliata dall’irruzione dell’uomo. In Tarantino, che in corpo aveva una dose massiccia di cocaina, scattò una furia omicida. Poi, terminata la mattanza, con gli stessi oggetti scardinò la piccola cassaforte incassata nella parete, come se nulla fosse. All’interno vi era un’unica banconota da 500 euro.

TARANTINO Vincenzo_1-3-2-5Tarantino fu fermato mentre viaggiava a bordo della sua auto, sulla strada che da Porto Cesareo conduce a Torre Lapillo e ad alcune delle spiagge più belle della costa ionica. Procedeva tranquillo, aveva da poco mangiato un panino (acquistato in una stazione di servizio), come se l’orrore consumato poche ore prima non lo riguardasse, e quei corpi dilaniati da una furia cieca e assassina fossero lontani. Panino acquistato con una banconota trafugata dall’abitazione delle vittime. Su di essa, infatti, sono state rinvenute tracce molecolari dell’imputato e della coppia.

L’uomo, originario di Manduria (Taranto), ma residente da tempo a Porto Cesareo, parve ai carabinieri come alienato, perso in un mondo parallelo. Erano le 17 di un pomeriggio afoso. Dal duplice omicidio della coppia massacrata in casa alle prime luci dell’alba, erano trascorse solo una manciata di ore. Tante ne bastarono ai carabinieri del comando provinciale di Lecce, per chiudere il cerchio intorno al presunto assassino.

Un’indagine tanto breve quanto articolata ed efficace, condotta dagli uomini dietti dal colonnello Saverio Lombardi, comandante del Reparto operativo, dal capitano Biagio Marro, a capo del reparto investigativo e della compagnia di Campi Salentina, coordinati dal maggiore Nicola Fasciano, ufficiale preparato e competente. L’ultimo importante tassello è arrivato ad aprile scorso con il ritrovamento della cassaforte trafugata dall’abitazione delle vittime, grazie a un’intercettazione ambientale in carcere. Tarantino ha sempre respinto le accuse, affermando di aver solo custodito la refurtiva.

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