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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Donna seviziata e uccisa, chiesto l’accesso ai reperti per svolgere nuove indagini sul dna

Giovanni Camassa, il 54enne di Melendugno condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio della 31enne Angela Petrachi, continua a proclamarsi innocente e punta alla revisione del processo

LECCE - Non si dà pace Giovanni Camassa, l'agricoltore 53enne di Melendugno condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di Angela Petrachi, scomparsa all’età di 31 anni il 26 ottobre del 2002 e ritrovata da un cercatore di funghi la mattina dell'8 novembre successivo in un bosco di Borgagne (frazione di Melendugno).

Si proclama innocente dal maggio del 2003, quando la giustizia bussò per la prima volta alla sua porta e finì dietro le sbarre con le accuse di omicidio aggravato, violenza sessuale e vilipendio di cadavere.

Nella sua innocenza continua a credere la famiglia che non perde la speranza e ha dato mandato all’avvocato difensore Ladislao Massari di presentare l’istanza di accesso ai reperti (indumenti della vittima e oggetti trovati sul luogo del delitto) affinché possano essere sottoposti a ulteriori indagini genetiche.

L’istanza giunta in mattinata alla Corte d’Assise d’Appello di Lecce (presieduta dal giudice Vincenzo Scardia, a latere la collega Antonia Martalò) sarà valutata nei prossimi giorni e se sarà accolta consentirà a un consulente di parte (il biologo forense Eugenio D’Orio) di svolgere approfondimenti che potrebbero essere utili a ottenere una revisione del processo, finora negata dalla Corte d’Appello di Potenza e dalla Corte di Cassazione.

In particolare, attraverso l’impiego di tecnologie all’avanguardia sarebbe possibile risalire anche alla natura delle due tracce di dna individuate sugli indumenti della vittima (quindi stabilire se si tratti di sangue, sudore, liquido seminale), rispetto alle quali, al momento è stato possibile riscontrare solo il profilo: uno risultato compatibile all’ex marito della donna, l’altro rimasto ignoto.

Camassa in primo grado fu assolto “per non aver commesso il fatto”, ma il verdetto fu completamente ribaltato in appello con una condanna al “fine pena mai” che fu confermata dalla Corte di Cassazione nel febbraio del 2014.

Secondo l’accusa, l’imputato avrebbe avuto contatti telefonici con la vittima legati all’acquisto di un cane e durante l’incontro l’avrebbe violentata e strangolata con gli slip.

L’alibi fornito dall’attuale moglie, all’epoca dei fatti fidanzata, ebbe un peso decisivo, insieme all’assenza del movente, nel verdetto assolutorio. Ma, la trascrizione integrale delle intercettazioni e la perizia sui telefonini della coppia (che nelle ore in cui sarebbe stato commesso l'efferato delitto avrebbero agganciato celle differenti, a dimostrazione del fatto che non erano insieme come avevano sempre sostenuto) avrebbe spostato completamente l’ago della bilancia.

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