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Cronaca Otranto

"Ed ora apriamo la Grotta dei Cervi ai visitatori"

Appello di Giovanni Cremonesini, già presidente del Gruppo Speleologico ‘Ndronico, alla piena fruibilità della grotta situata sul territorio di Badisco: "Patrimonio che stiamo lentamente perdendo"

OTRANTO - Aprire al pubblico la Grotta dei Cervi: un obiettivo, un sogno o chissà che altro ancora, visto che a oltre quarant'anni dalla straordinaria scoperta del prezioso sito, la sua fruibilità resta un tabù, anche per ragioni di conservazione. Tuttavia, Giovanni Cremonesini, già presidente del Gruppo speleologico ‘Ndronico, insieme a Giuseppe (Pino) Salamina, scrivono alle istituzioni nazionali, regionali e dei beni culturali e paesaggistici, per chiedere che si rompa proprio questo tabù.

"Per chi conosce il problema e per chi non lo conosce - scrivono -, questi sono i termini: ‘Cavità carsica profonda, estesa circa 1550m, profondità circa 26m, scoperta nel 1970, 1-3-8 febbraio, da Severino Albertini, Enzo Evangelisti, Isidoro Mattioli, Remo Mazzotta, Daniele Rizzo, con la collaborazione di Nunzio Pacella e Pino Salamina, fotografo ufficiale dell'avvenimento, tutti soci del Gruppo Speleologico Salentino ‘P. De Lorentiis' di Maglie (Lecce), che venne denominata ‘Grotta dei Cervi' di Porto Badisco, Otranto, Lecce, in località ‘La Montagnola'".

I due aggiungono, usando parole forti: "Non si capisce dove sta il problema? Ma è proprio questo il problema! I quarantuno anni inutilmente trascorsi, nella beata delittuosa sonnolenza del Ministero dei Beni Culturali, cullato dalla sua propaggine territoriale, la Soprintendenza alle Antichità di Taranto e insieme dormienti, sull'immenso, delicatissimo tesoro archeologico, racchiuso all'interno della Grotta dei Cervi. Il nome Grotta dei Cervi, potrebbe anche essere riduttivo e forse più giusto sarebbe, ‘Pinacoteca Preistorica dell'Antico Salento'. Perché su tre dei quattro corridoi che strutturano la cavità e su pareti e volte di questi compaiono 3000 segni o pitture parietali, di colore rosso e nero, risalenti a circa seimila anni da noi, che collocano il monumento tra i primi al mondo per quantità e qualità delle tracce".

La stessa pinacoteca "risulterebbe riduttiva", secondo i due esperti, "se si considerasse il fatto che quasi tutto il complesso sotterraneo (la grotta) è colmo di una quantità inestimabile di materiale e oggetti, manufatti e naturali, (armi, utensili, vasellame, giocattoli, ninnoli, maschere, lampade, ossa umane e animali, sabbie, terre, ecc.), che datano molti più anni delle pitture e riempirebbero, se adeguatamente utilizzabili, decine di musei locali".

"Ma tutto dorme - tuonano - e nulla si muove. La cavità, dal giorno della scoperta è chiusa! Immaginatevi a grandi linee una cassaforte. Però senza la parte superiore. Sì, perché la zona archeologica superficiale non è stata mai espropriata, quindi la grotta è, quasi, condominiale. Ma c'è di più; l'onere dell'apertura e chiusura, come fosse ‘Apriti Sesamo', grava da anni sulle spalle di uno stesso volontario, che sarebbe ormai ora di porre a riposo e sostituirlo. La grotta cassaforte, con i suoi contenuti si sta sgretolando! Questo processo di dissolvimento non può essere combattuto o bloccato, perché la calcarenite di Badisco, cioè il banco roccioso all'interno del quale, geologicamente si è formata la grotta, ha matrice marina e, prima o poi, il salmastro ed altro la faranno da padroni, come succede nella pietra leccese, consorella".

Cremonesini evidenzia come già oggi le pitture vengano sollecitate dall'interno delle pareti con forme di degrado grave come la corrosione, l'esfoliazione, la disgregazione, la scagliatura, le effiorescenze e quando si aprirà il forziere, sul pavimento si troveranno mucchietti di polvere bruna umidiccia, che rappresentano egregiamente i resti delle ormai perdute pitture parietali: "E' giusto - ci si chiede - che sia così? No! Il problema continua ad essere un problema e la soluzione è una sola: apriamo la grotta alle visite e godiamo tutti insieme questo effimero momento, ma con un solenne impegno, copiare la grotta, almeno nelle sue manifestazioni più importanti, in un altro sito nella zona, e conservarla così, per i salentini di domani e per il mondo intero".

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