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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Copertino

Ex carabiniere assassinato, ecco perché il presunto assassino è tornato in libertà

Il Tribunale del Riesame ha depositato le motivazioni in merito alla revoca dell’ordinanza cautelare emessa nei riguardi di Michele Aportone: il provvedimento era carente di un’autonoma valutazione da parte del gip

COPERTINO - L’ordinanza di custodia cautelare era sprovvista di un’autonoma valutazione degli addebiti dal parte del gip firmatario, per questo è tornato in libertà Michele Aportone, il 70enne di San Donaci che era finito in carcere il 29 ottobre scorso con l’accusa di aver assassinato a colpi di fucile Silvano Nestola, ex carabiniere di 45 anni, la sera del 3 maggio, mentre lasciava casa della sorella col figlio di undici anni, a Copertino.

Il tribunale del Riesame ha dovuto annullare il provvedimento, ritenendo fosse carente dei requisiti imposti dall’articolo 292 del codice di procedura penale, come aveva osservato l’avvocata difensore dell’arrestato Francesca Conte nella richiesta di revoca della misura.

In particolare, venerdì scorso, davanti al collegio composto dal presidente Carlo Cazzella e dai giudici Giovanni Gallo e Maria Pia Verderosa, il legale aveva sostenuto che fosse “assente una pur sintetica valutazione autonoma dei fatti rappresentati dal pm, i quali sono stati trasfusi pedissequamente nell’ordinanza senza alcuna rielaborazione, neppure incidenter tantum”.

E i giudici della libertà le hanno dato ragione, riscontrando con i loro stessi occhi che il gip cautelare Sergio Tosi avrebbe aderito acriticamente alla richiesta di applicazione della misura formulata dai sostituti procuratori Paola Guglielmi e Alberto Santacatterina, titolari delle indagini, rendendo così nullo il provvedimento.

Per la difesa, oltre a questa ragione di natura tecnica, sarebbero molti altri i motivi per i quali Aportone meriti la libertà. Innanzitutto, il movente, individuato dagli inquirenti, nel disappunto dello stesso arrestato e della moglie Rossella Manieri, di 62 anni (indagata a piede libero), riguardo alla relazione sentimentale nata tra la figlia e il militare.

Questo sentimento di odio, secondo il legale, è privo di riscontri. Il fatto che la coppia controllasse gli spostamenti della figlia Elisabetta, seppur 36enne, attraverso un gps sarebbero dipesi esclusivamente dalla sana preoccupazione dovuta ad alcuni gravi problemi, oltretutto riscontrabili, avuti dalla stessa.

Insomma, secondo l’avvocata Conte ogni ricostruzione svolta dagli inquirenti si baserebbe su mere congetture, poiché: “Non vi è prova alcuna che ad uccidere Nestola sia stato un uomo o una donna; non vi è prova alcuna, ex actiis, che Aportone conoscesse Nestola Silvano; non vi è prova alcuna che il ricorrente si fosse mai recato presso casa della sorella di Nestola Silvano, la signora Marta Nestola, né la sera dell’omicidio, né in precedenza, per effettuare ricognizioni preventive dei luoghi; non vi è prova alcuna che l’Aportone si fosse mai recato a casa di Nestola, di cui non possedeva neppure il numero del cellulare, per cercare di farlo desistere dal frequentare la figlia Elisabetta; non vi è prova alcuna che egli abbia mai cercato di far desistere la figlia Elisabetta dal frequentare il Nestola, come pacificamente ammesso dalla stessa in sede di sit; non vi è alcuna prova che Elisabetta Aportone sia mai andata in casa della sorella di Nestola Silvano, Marta, e che, di conseguenza, i coniugi Aportone/Manieri attraverso il gps montato sull’auto della figlia avessero potuto individuare l’ubicazione del locus commissi delicti”.

Non hanno dubbi, invece, i magistrati che hanno indagato in questa brutta storia, assicurando alla giustizia, seppur per pochi giorni, il presunto responsabile, e che ora valuteranno la strada da percorrere per far valere la propria tesi.

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