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Cronaca

Falsa testimonianza nel processo all’ex pm, in sei davanti al giudice

Si è aperta nei giorni scorsi l’udienza preliminare per discutere la richiesta di rinvio a giudizio nei riguardi dei testi che avrebbero mentito durante le udienze dibattimentali a carico di Emilio Arnesano

POTENZA/LECCE - Da testimoni ascoltati nel processo a Emilio Arnesano - già condannato in appello a 10 anni di reclusione con l’accusa di aver svilito la funzione giudiziaria in cambio di prestazioni sessuali, posti di lavoro, battute di caccia, quando era in servizio presso la Procura di Lecce - ora rischiano di ritrovarsi al banco degli imputati. 
La sostituta procuratrice Anna Piccini ha chiesto il rinvio a giudizio di sei persone che avrebbero mentito durante le udienze dibattimentali celebrate, tra il maggio e il luglio del 2019, davanti al collegio B del tribunale di Potenza. 
Si tratta di A.L.P., 62enne di Potenza, A.M., 73, di Vernole, R.B., 31, di Potenza, L.D.S., 67, di Calimera, S.Q., 51, di Carmiano, L.C., 76 di Carmiano.
A decidere se mandarli a processo sarà il giudice Lucio Setola dinanzi al quale, il 27 gennaio scorso, si è aperta l’udienza preliminare. In aula, si ritornerà il prossimo 9 marzo, quando il gup si pronuncerà in merito alla richiesta della pm di acquisire le trascrizioni delle intercettazioni relative al procedimento su Arnesano e rispetto alla quale si è opposta la difesa composta dagli avvocati Francesco Cazzato, Antonio De Mauro e Ivan paladini (del foro di Lecce) e Leonardo Pace, Rosario Santoro, Raffaela Forliano (del foro di Potenza).
Stando all’impianto accusatorio, i testimoni avrebbero nascosto ai giudici alcune circostanze smentite nel corso del dibattimento, per esempio: in merito alla partecipazione del pm alle battute di caccia; alla dettatura di alcuni messaggi a uno dei medici coinvolti; a telefonate avute col fratello del pm anziché con lo stesso pm. E ancora, le bugie avrebbero riguardato anche un incontro “affettuoso” avuto da Arnesano con un’avvocatessa, anche questa imputata, e le trattative di compravendita dell’imbarcazione che era poi al centro dell’inchiesta.
La barca finita nel miro degli inquirenti potentini è quella che Carlo Siciliano, direttore del dipartimento di medicina del lavoro e di igiene ambientale della Asl di Lecce (condannato in abbreviato a cinque anni),  avrebbe venduto al magistrato a un prezzo inferiore al valore reale, ottenendo in cambio vantaggi per i suoi amici medici. 


 

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