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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Ferì l'avversario con un calcio al volto, atleta condannato a tre anni per lesioni

Il 29 gennaio del 2012, sul ring di Maglie, Artur Petrik e Dario Bruno si affrontarono in un match di kick boxing. Il primo sferrò all'altro un colpo violento: per il ferito dopo l'intervento dell'arbitro. L'imputato, un atleta originario di Odessa, è stato condannato a tre anni per lesioni personali

LECCE – Per alcuni è uno sport violento e crudele. In realtà (come tutti gli sport da combattimento) la kick boxing (uno sport da combattimento che combina le tecniche di calcio tipiche delle arti marziali orientali ai colpi di pugno propri del pugilato inglese) è un'arte nobile e antica, fatta di regole e disciplina. La kick boxing (proprio come la boxe) è un mondo, che in tanti hanno provato a raccontare, con i suoi sogni, i sacrifici, le paure e le sofferenze. E’ molto più di uno sport, è una sfida, contro se stessi e contro gli altri, che sa tanto di vita vera, di palestre di periferia. Un mondo al limite, dove spesso basta poco per varcare la sottile linea d’ombra che separa il bene dal male, quello che è considerato lecito da quello che non lo è. Come nel caso che vede contrapposti, non su di un “quadrato” ma tra le carte di un procedimento penale, due atleti.

E’ il 29 gennaio del 2012 quando, sul ring di Maglie, si affrontano Artur Petrik, 28enne ucraino originario di Odessa (ma naturalizzato italiano e residente a Matera), e Dario Bruno, pluricampione di origine salentine. Un incontro tra due campioni esperti, che si affrontano senza esclusione di colpi. Fino a quando, però, qualcosa va storto. Bruno, infatti, viene colpito al volto da un calcio dalla potenza devastante che, oltre a fargli perdere i sensi, gli provoca “un trauma cranico commotivo, distorsione cervicale e trauma facciale, una ferita lacero-contusa, dolori e vertigini”. Ferite guaribili in circa 50 giorni. La vicenda approda in ambito giudiziario: l’atleta salentino, infatti, denuncia il suo avversario con l’accusa di averlo colpito “quando era caduto e si trovava per terra, e nonostante l’arbitro avesse momentaneamente fermato l’incontro per consentire all’atleta di ricomporsi”. Le indagini hanno portato a ipotizzare, nei confronti del boxer ucraino, il reato di lesioni personali gravi. Reato per cu il gup Giovanni Gallo ha rinviato a giudizio l’atleta ucraino, condannato ieri sera a tre anni di reclusione.

Diversa, però, la posizione di Petrik, assistito dall’avvocato Silvio Verri. Nella sua precisa e puntuale arringa difensiva il penalista ha evidenziato come nel caso di specie vi si la "scriminante dell'attività sportiva violenta", il cosiddetto rischio consentito. Secondo la tesi difensiva, infatti, il colpo sarebbe stato sferrato senza la volontà di ferire l’avversario, in una sorta di trance agonistica che a detta dello stesso arbitro dell’incontro, sentito come teste nel corso del dibattimento, che spesso si verifica in un incontro di tale portata e importanza. Un’ipotesi rafforzata dal fatto che nei confronti dell’atleta di Matera non è stato adottato alcun provvedimento disciplinare. Lesioni che sarebbero quindi state causate senza alcuna volontà e quindi senza dolo. Un caso limite su cui, saranno ora i giudici di secondo grado a pronunciarsi e a far luce in una  storia complessa dal punto di vista sportivo e penale. 

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