Giovani bulgare comprate e costrette a vendersi: in 4 a processo
E’ stato disposto il giudizio immediato nei riguardi della presunta associazione che avrebbe trattato come schiave almeno nove donne. La prima udienza è stata fissata per il 2 maggio
TAVIANO - Vista l’evidenza della prova, in quattro sono stati mandati al banco degli imputati, senza il passaggio dell’udienza preliminare, con l’accusa di aver costretto giovani donne giunte dalla Bulgaria, e in alcuni casi, acquistate per poco più di duemila euro, a vendere il proprio corpo sulle strade di Lecce e Taviano.
Il processo si aprirà il prossimo 2 maggio davanti alla prima sezione penale, in composizione collegiale, del tribunale di Lecce nei riguardi di Mariyan Chakarov, 46enne di origini bulgare ma domiciliato a Taviano, ritenuto a capo dell’associazione e dei suoi presunti aiutanti: la moglie Denislavova Sevdalina Rodostinova, 31enne; Angelo Manzo, 62enne di Taviano; Dobrin Borison, 29enne bulgaro, domiciliato a Taviano.
A deciderlo, su richiesta della pubblico ministero Giovanna Cannarile, è stata la giudice Simona Panzera (la stessa che aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare) nel decreto di giudizio immediato notificato nelle scorse ore agli avvocati difensori Raffaele Benfatto, Lasislao Massari, Benedetto Scippa e Gabriele D’Urso.
Sono nove le donne individuate dall’inchiesta come vittime che potranno costituirsi parte civile e chiedere i danni. Tra queste, anche le due malcapitate che attraverso la loro denuncia misero in moto la macchina della giustizia. Agghiaccianti i loro racconti che Lecceprima riportò integralmente, lo scorso dicembre (consultabili nel paragrafo seguente), nei giorni in cui due degli indagati, Chakarov e Manzo, finirono dietro le sbarre (gli altri, inizialmente irreperibili, furono rintracciati nelle settimane successive).
Il racconto dell’orrore: “Mi tagliò la mano con un coltello e mi bruciò con una sigaretta”
“Circa quattro anni addietro, siccome non sono andata a lavorare perché non mi sentivo bene, il “Boss” con un coltello mi ha causato sul palmo della mano sinistra un profondo taglio che mi ha lasciato una vistosa cicatrice, inoltre con la sigaretta accesa mi ha procurato delle vistose cicatrici di bruciatura sempre sul dorso della stessa mano”: è questo uno dei passaggi più inquietanti del racconto di una delle donne vittima dell’associazione che l’avrebbe costretta a prostituirsi, e a capo della quale ci sarebbe stato Chakarov.
Era l’11 luglio del 2020, quando la malcapitata si presentò nel commissariato di polizia di Taurisano per chiedere aiuto, riferendo di subire maltrattamenti e vessazioni da un uomo che indicava come “boss” che l’aveva condotta in Italia e avviata, ricorrendo a minacce e violenze, alla prostituzione: “Da circa un anno sono stata portata dalla Bulgaria, mio paese d’origine, in Italia in auto, da un uomo che io conosco con il nome di Moni, di origine turca. Per la precisione mi portava presso la città di Lecce, e mi allocava in una grande abitazione, della quale sconosco l’indirizzo. Da quando sono arrivata in detta città, l’uomo che io identifico col termine di “boss”, mi ha subito detto che dovevo prostituirmi e dovevo consegnargli i soldi che guadagnavo su strada. Pertanto ho iniziato a prostituirmi, rappresentando che dal primo giorno, il “boss” ha posto in essere nei miei confronti gravi ed innumerevoli minacce del tipo che “se non gli avessi portato i soldi mi avrebbe tagliato la testa”,e in più occasioni sempre dal medesimo ho subito violente percosse in tutto il corpo, riportando varie ferite. Di fatto all’inizio del mio soggiorno in Italia, ho dovuto soltanto “lavorare”, e quando non lo facevo o non lo faccio tutt’ora, il “Boss” mi tiene chiusa in casa e non mi fa uscire per alcun motivo”.
In una circostanza riferita dalla vittima, sarebbe stata punita con un taglio e bruciature di sigarette alla mano, perché impossibilitata a lavorare a causa di un malessere. In seguito a questa aggressione, l’uomo l’accompagnò al “Vito Fazzi” e ai medici, riferì che le ferite se le era procurata da sola, temendo in future ritorsioni qualora avesse raccontato la verità.
La donna, inoltre, raccontò agli agenti di consegnare tutti i soldi guadagnati col meretricio, anche mille euro al giorno, al “boss” che quotidianamente, alle 8, l’avrebbe accompagnata sulla statale 274, allo svincolo per Acquarica del Capo, per svolgere l’attività e l’avrebbe ripresa alle 17.30, ricevendo come compenso solo un euro, sigarette e, in maniera discontinua, generi alimentari.
“Tengo a precisare che attualmente non ce la faccio più a vivere in questo stato, temo per la mia incolumità, non voglio più fare questo lavoro, non voglio più vedere il “Boss” che non perde occasione di picchiarmi anche mediante bastone con il quale vengo spesso percossa in testa, e voglio ritornare al mio paese di origine. Di fatti in data odierna, ho avuto il coraggio di farmi accompagnare mediante passaggio presso il vostro ufficio, al fine di farmi aiutare e mettervi a conoscenza della mia grave situazione. Non dormo e non mangio da circa due giorni, ho paura e voglio essere aiutata”.
Qualche giorno dopo, il 5 agosto, un’altra donna, di origini bulgare, si presentò negli uffici della stazione dei carabinieri di Gallipoli per dichiarare di essere costretta, con la violenza, a vendere il suo corpo: “Alla mia richiesta di riavere i documenti perché non volevo più fare la prostituta sono stata picchiata con la fibbia della cinta. Mi ha causato diverse lesioni su varie parti del corpo tanto che mi hanno accompagnata al pronto soccorso di Lecce, dove ho detto che ero caduta da una moto”. Anche questa donna sarebbe stata “acquistata” e oltre alle vessazioni, le sarebbe stato tolto anche il figlio di due anni che poi sarebbe stato affidato a un parente del suo sfruttatore.
Quest’ultimo, poi identificato in Chakarov, stando alle indagini, avrebbe stabilito le “tariffe” e impartito ordini precisi alle ragazze, obbligandole, per esempio, a fargli uno squillo sul cellulare, all’inizio e alla fine di ogni prestazione, in modo che potesse monitorare gli introiti. In sua assenza, a fare le veci, ci avrebbe pensato la moglie Denislavova Sevdalina Rodostinova. A questa, come emerge in una conversazione telefonica, avrebbe imposto di tenere a dieta una delle ragazze, invitandola a darle solo pane e insalata ogni cinque giorni.