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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Ugento

La giudice: “Disponevano di armi e programmavano una rapina al portavalori con un kalashikov”

Nelle intercettazioni, i dettagli del piano organizzato da Cristian Ponzetta, Emanuel Pierri e suo nonno materno Vincenzo Zaccaria durante un incontro, il 21 luglio del 2019. Per intimidire i vigilanti avrebbero mostrato le foto di mogli e figli di questi

UGENTO - Sarebbero stati disposti a tutto pur di fare soldi, non solo gestire il mercato della droga, cocaina in particolare, ma anche rapinare un portavalori, grazie alla disponibilità di armi e alle capacità criminali di alcuni di loro. E’ quanto si legge a pagina 75 della copiosa ordinanza di custodia cautelare emessa dalla giudice Simona Panzera nei riguardi dei tredici arrestati all’alba di ieri (undici in carcere, due ai domiciliari).

A pianificare il colpo sarebbero stati Cristian Ponzetta, 29 anni, di Melissano (tra gli indagati a piede libero), Emanuel Pierri, 25, di Ugento (in carcere), e suo nonno materno Vincenzo Zaccaria, di 79 anni (anche lui tra gli indagati), durante un incontro in casa di quest’ultimo, il 21 luglio del 2019.

Pierri presentò al familiare l’amico come una persona di elevato spessore criminale, paragonandolo a Vallanzasca, elogiandone le abilità nel condurre veicoli, utili a seminare le forze dell’ordine in caso di inseguimento e anche perché conosceva bene il percorso che avrebbe compiuto il portavalori e l’orario di transito: “Questo è parente di Vallanzasca (…) E’ buono a portare la macchina per le banche, per quelle cose, lui è sempre stato in gamba, si è fatto 10/15 anni proprio per questo motivo qua (…) “Per le poste, le banche, si cala il cappuccio e scappa come un pazzo e non lo fermi eh…non lo arrivi”.

Durante la conversazione, Pierri e Ponzetta avrebbero programmato i ruoli, ipotizzando che Zaccaria avrebbe potuto fare da palo, perché insospettabile. Il primo riferiva di avere a disposizione un kalashikov, una pistola 9X21, una pistola 38 special e un fucile a pompa, mentre l’altro, di disporre al momento soltanto una pistola calibro 7, avendo venduto tempo addietro un kalashnikov.

Per costringere i vigilanti a fermarsi non avrebbero esitato ad aprire il fuoco, a provocare un incidente o a mostrare le foto delle loro mogli e figli, per intimidirli. Nel piano erano state considerate una seconda via d’uscita, l’autovettura di grossa cilindrata da impiegare, anche con l’utilizzo di una moto (suggerito da Ponzetta). Dopo il colpo, il bottino sarebbe stato diviso equamente e i tre complici sarebbero fuggiti a Torino. Pierri. “Poi ci facciamo una settimana a Torino per difriscare”.

Quattro giorni dopo, la polizia giudiziaria effettuò un sopralluogo su un terreno, in contrada “Madonna del Casale”, a Ugento, vicino a quello dove fu trovata la piantagione di marijuana (di cui si parla in un precedente articolo). Attiguo a un muro di pietre “a secco” erano stati interrati: un fucile doppietta retrocarica calibro 12 (risultato rubato a Racale il 29 luglio 2016) e dieci cartucce dello stesso calibro; una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa, marca Beretta, completa di caricatore con all’interno otto cartucce.

Qualche giorno dopo il sequestro, in un’intercettazione, Emanuel Pierri e la madre si interrogavano su come i carabinieri fossero riusciti a trovare le armi (nella foto in apertura), sospettando di persone a loro vicine, e il primo domandava all’altra se il terreno fosse intestato a lei oppure al nonno. Osserva la giudice Panzera: “La definitiva conferma poi della riconducibilità delle armi ai Pierri perveniva dal fatto che, per tranquillizzare la madre, le diceva di averle abbondantemente oleate per evitare, a suo parere, l’eventuale rilevamento delle impronte papillari che avrebbe condotto a loro”.

Stando ai riscontri investigativi, quelle armi erano di “tutti”. In particolare scrive la gip: “Nel caso di specie non solo, invero, risulta che i partecipi disponessero di molteplici armi della cui esistenza tutti erano consapevoli, ma anche che essi se ne garantivano il possesso per salvaguardare i loro comuni interessi economici”.

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