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Cronaca

Gli sgomberati di via Milinanni entrano a Palazzo

Un gruppo di proprietari della palazzina "svuotata" dopo l'ordinanza del sindaco ha reclamato una sistemazione dignitosa. E non intende farsi carico, oltre al mutuo, degli interventi di sicurezza

LECCE - Hanno lasciato le proprie case una settimana addietro, dopo l'ordinanza di sgombero firmata dal sindaco Paolo Perrone. Sono le trenta famiglie del condominio leccese "Quadrifoglio", in via Milinanni (zona ex cave di Marco Vito) che dopo aver chiuso a doppia mandata la porta dei loro appartamenti, hanno chiesto asilo a parenti e amici. Tra loro, anche una giovane coppia, una donna incinta, persone in precarie condizioni di salute. L'esilio forzato, e tutt'altro che dorato, durerà fino a quando non si sveglieranno dall'incubo collettivo nel quale sono precipitati la notte tra il 15 e il 16 settembre: alle due di notte si precipitarono all'esterno dello stabile nel timore che stesse per succedere qualcosa di molto grave.

Un'allucinazione collettiva? No, perché in realtà l'episodio è stato solo l'ultimo di una serie di allarmi materializzatisi in scricchiolii, fessurazioni e quanto basta per ingenerare paure e sospetti. Questa mattina, uno sparuto ma determinato gruppo di questi sfortunati proprietari, si è presentato a Palazzo Carafa e ha fatto sentire le proprie ragioni, evidentemente insoddisfatto della risposta che il il primo cittadino aveva riservato alla domanda di attualità di Angelamaria Spagnolo, consigliera del Pd.

Gli sgomberati chiedono di essere sistemati dignitosamente in strutture ricettive, almeno fino a che non si uscirà dal groviglio di competenze e rimpalli di responsabilità, al momento tutte presunte. Ma il presente per queste famiglie si chiama disagio e frustrazione. Quella per la raccomandazione fatta dal sindaco e contenuta nell'ordinanza di provvedere a proprie spese alla messa in sicurezza dei luoghi. In quanto proprietari. Un atto dovuto che evidentemente risponde alla necessità da parte dell'amministrazione di tutelarsi dal punto di vista giuridico (solo tre giorni prima il terribile crollo di Barletta), ma che lascia l'amaro in bocca a chi è già impegnato economicamente a far fronte all'acquisto di un immobile, cosa tutt'altro che facile dati i prezzi correnti.

Non si sentono certo responsabili e oggi non hanno esitato a farsi vedere nel palazzo municipale. La discussione è proseguita nel corridoio attiguo alla sala consiliare, con toni a tratti alti. C'erano l'assessore all'Urbanistica, Severo Martini, il dirigente di settore Luigi Maniglio, la consigliera interpellante e il manipolo di cittadini. L'esponente dell'amministrazione ha in qualche modo preso l'impegno di parlare con il costruttore - MartiCostruzioni Immobiliari srl - per cercare di favorire una soluzione. Non è facile capire da dove iniziare a sbrogliare la matassa.

Gli elementi oggettivi al momento esistenti sono la relazione dei vigili del fuoco che dichiara inagibile lo stabile e la consulenza d'ufficio disposta dal Tribunale che attribuisce gran parte della responsabilità all'Acquedotto pugliese, proprietario dei tubi che a lungo avrebbero avuto tali e tante perdite da compromettere la stabilità del terreno. C'è tempo fino al 23 ottobre perché Aqp possa depositare la controdeduzioni e fino ad allora, i residenti (ex) non vogliono intervenire, primo perché non ne vogliono sentire di sopportare i costi - si parla di diverse centinaia di migliaia di euro - e soprattutto perché non intendono alterare lo stato dei luoghi fino al momento in cui non sarà il giudice, in maniera definitiva, a stabilire chi deve provvedere alla messa in sicurezza.

Intanto la consigliera Spagnolo ha chiesto al Comune di Lecce "un impegno concreto perché si trovi una temporanea soluzione per questi nuclei famigliari". Impegno, prosegue, che potrebbe essere quello di sollecitare "un fattivo interessamento da parte della ditta che ha costruito gli alloggi e che dovrebbe avvertire una responsabilità per il momento almeno morale a farsi carico dell'odiosa emergenza".

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