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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Il commiato della folla per Franco e le contraddizioni dell'investitore

Oggi i funerali del ciclista ucciso. Intanto, dall'ordinanza, si evince come il gip rilevi precise condotte dolose e coscienti compiute da Taurino, a fronte di un racconto non del tutto credibile

LECCE – La chiesa Cuore Immacolato di Maria esplodeva di commozione, questo pomeriggio. Troppo piccola per contenere il generoso abbraccio di centinaia di persone. La moglie e i tre figli, altri parenti, amici, conoscenti e persino sconosciuti. E poi, quello sciame di biciclette, la sua grande famiglia di ciclisti, a formare un corteo s’è snodato in periferia per il giorno del commiato, colorito in tute attillate e caschi, come sarebbe piaciuto a lui.

Solare e brillante, Franco Amati fra la gente era sempre stato anche per via di una passione innata per il ciclismo. E poi, prima della pensione, arrivata pochi anni addietro, aveva esercitato un mestiere fra il pubblico, quello di pasticciere, che l’aveva reso un volto cordiale e noto a tanti. Ma in questi giorni è diventato l’amico di tutti, anche di chi non l’aveva mai visto prima e che ora rimpiange di non avergli mai stretto la mano almeno una volta. Raramente ci s’immedesima in un dolore altrui, non vissuto in prima persona, in questo modo.

Franco n’è andato a 67 anni in sella alla sua fedele bicicletta, compagna di mille avventure. Eppure non c’è romanticismo, se si pensa al modo. Falciato da un’auto impazzita, guidata da Andrea Taurino, 33enne, per sua stessa ammissione assuntore di stupefacenti, un’auto andata dritta per la sua via anche dopo aver travolto in rapida successione pure Ugo Romano, 61enne, vivo per miracolo e oggi simbolo di quest’immane tragedia, coperto in testa dalle bende per celare la cicatrice di una profonda ferita a un orecchio.  

Quanto stridore fra la morte di un uomo che, dopo anni di lavoro, si avvicinava all’anzianità con la forza dell’esperienza unita al vigore di un giovane nel pieno delle forze e la vita devastata dall’eroina di un giovane diventato già anziano, consumato dal demone della droga. A modo loro, così diametralmente opposto, due vittime i cui destini si sono incrociati in un abbraccio mortale in un freddo e assolato pomeriggio, in mezzo alla campagna salentina. Uno scenario troppo dolce per un dramma così profondo da sembrare quasi ingiusto, sbagliato.

Come tutta sbagliata è questa storia, da qualsiasi punto di vita la si guardi. Difficile trovare parole adeguate, soprattutto don Maurizio Ciccarese ha avuto molta attenzione a non alimentare il focolaio del rancore. Forse anche per questo ha aggirato nell’omelia ogni riferimento alla vicenda, puntando sulle qualità che hanno caratterizzato la vita di Franco, che conosceva il valore della vittoria e della fatica, compiendo un parallelismo con lo sforzo quotidiano nel sostenere la fede.      

L'ultimo saluto al ciclista ucciso

Chi invece non ha avuto remore per il ruolo che svolge nel ridefinire tutti i contorni della storia, per arrivare alle prime, solide conclusioni, è stato il gip Cinzia Vergine. Fondate in ogni senso le accuse di omicidio volontario e tentato omicidio formulate dal sostituto procuratore Giovanni Gagliotta. E in tre pagine e mezzo d'ordinanza ha motivato perché il 33enne di Trepuzzi deve restare in carcere.

Un excursus breve, ma intenso, in cui si parte dall’ammissione di Taurino: la mattina del 22 gennaio, il giorno della tragedia, avrebbe fumato un grammo e mezzo di eroina per poi mettersi alla guida dell’auto, una Fiat 500, e andare in campagna in cerca di olive abbandonate nei fondi altrui.

Ha raccontato di averne raccolte un po’ e di essere quindi rientrato verso casa, in Contrada Provenzani. Per raggiungerla, è passato da via Monticelli. Ed ha incrociato una prima volta i due ciclisti. Poi però ha spiegato di aver scordato la secchia con le olive raccolte e per questo di aver fatto inversione, tornando indietro. Al rientro, lo scontro fatale. Involontario, per lui. 

Ma perché la guida sarebbe stata così imprudente e incerta? Taurino ha motivato il suo zigzagare nel fatto che, durante i vari percorsi, avrebbe continuato a osservare le campagne con l’auto in movimento, sempre in cerca di olive e che a causa di questa distrazione avrebbe finito per travolgere Amati e Romano. Ha anche aggiunto di non aver avuto con loro alcun diverbio, rispetto a quanto si era sospettato nei primi istanti, quando le ricostruzioni degli investigatori erano ancora nebulose e si cercava una spiegazione per una dinamica così particolare, come un investimento quasi frontale tanto netto, dopo aver invaso la corsia opposta.

La versione fornita da Romano ai carabinieri del Reparto operativo, che hanno svolto gli accertamenti, differisce da Taurino in diversi dettagli. Nel primo passaggio, infatti, la Fiat 500 avrebbe tagliato loro strada uscendo da un fondo privato. Proseguendo nella sua marcia, secondo il 61enne, Taurino avrebbe sbandato due volte. Poi, al ritorno, un repentino cambio di direzione. “A circa 6-7 metri da noi – ha raccontato agli investigatori -, di scatto, ha invaso la nostra corsia di marcia investendoci volontariamente”. Travolgendo prima Amati e dopo Romano. I quali, per inciso, pare che si trovassero uno dietro l’altro. In fila indiana. Tutto questo, senza mai fermarsi. Fuggendo immediatamente.

Quando i carabinieri hanno rintracciato Taurino nella serata, una prima volta, dopo aver spiegato di essersene andato perché senza assicurazione e aver anche mostrato dove aveva ricoverato l’auto devastata dagli urti, è scappato a piedi divincolandosi, per essere poi scovato nuovamente poco prima delle 21,30.

Diversi aspetti non sono tornati al giudice durante l’interrogatorio di convalida. Taurino sarebbe entrato in contraddizione in vari punti della narrazione. La definizione della dinamica con tre passaggi in auto, per esempio, per cercare quella secchia con le olive, che ha asserito in un primo momento di aver dimenticato in qualche punto in campagna. Di fronte alla precisa domanda del giudice, cioè dove si trovasse quella secchia allo stato attuale, ha risposto che fosse in casa, per poi cercare poi di correggersi, sostenendo di averla lasciata in una località vicina alla sua abitazione. Né vi sono riscontri esterni, al momento, altre testimonianze che avvalorino questa ricerca di olive. Per ora, c'è solo la sua narrazione. 

D’altro canto, molto precise appaiono le dichiarazioni di Romano e se allo stato attuale vige il più totale mistero sul perché di quell’investimento, quel repentino cambio di marcia con invasione di corsia, così come descritto (a 6-7 metri da loro), lascia propendere per la volontarietà del gesto in modo fin troppo netto.

Restano anche altri punti oscuri. C’è da accertare, ad esempio, al di là del racconto stesso di Taurino, quando realmente siano stati assunti gli stupefacenti. Le analisi hanno rivelato la presenza di oppiacei, metadone e cannabinoidi, ma saranno i dosaggi a “meglio chiarire se l’assunzione sia pregressa o meno ai fatti di che trattasi”, scrive il gip Cinzia Vergine.

Prendendo per buono che davvero abbia il 33enne consumato sostanze stupefacenti prima di porsi alla guida, alla base, potrebbe esservi, quindi, come rileva sempre il giudice, una percezione alterata della realtà. Fatto che però a suo avviso non attenua la condotta ed è compatibile con il dolo, “per cui non è richiesta un’analisi lucida della realtà, ma, solo, che il soggetto sia stato libero di attivarsi in modo razionalmente concatenato per realizzare l’evento ideato e voluto”. Parlano sentenze di Cassazione.

E che esistano i motivi per una custodia cautelare in carcere lo indicano soprattutto precise condotte: l’omissione di soccorso, il fatto di rendersi irreperibile, arrivando a nascondere l’auto e a fuggire una prima volta, quando scoperto dai carabinieri. Gesti eseguiti in piena coscienza. E tutto questo, da un uomo che di mestiere fa il camionista, e i cui comportamenti dovrebbero quindi essere ben diversi sotto l’aspetto della prudenza. Indici di una pericolosità tale che per il gip potrebbero indurlo a ripetere ciò che è già costata la vita a un uomo. 

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