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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Il "mio" 25 aprile

Quale il senso di questa ricorrenza, a 62 anni dall'evento? La comunità civile si divise, con perdite da entrambe le parti. Tanti gli episodi di eroismo, che videro al centro anche alcuni salentini

di Giovanni Invitto *

Quale senso può avere la ricorrenza del 25 aprile, dopo oltre sessant'anni dall'evento? Può avere senso se è preso come segno di un popolo che, con i suoi limiti e con i propri mezzi, ha cercato di affiancare un'opera di liberazione dalla dittatura. Per far questo, la nostra comunità civile si divise e si ebbero morti da una parte e morti dall'altra: tutti della stessa nazione.

E, questa, è una situazione ancora presente in tanti angoli della terra. Ma se messaggio positivo possiamo trarne è negli episodi di umanità "trasversale" che, forse, sono poco conosciuti proprio perché estranei alla logica di tutte le guerre: di quelle ipocritamente definite, sin dai tempi antichi, guerre "giuste" e guerre "ingiuste". Scriveva Alessandro Manzoni che una goccia di sangue, una vita umana eliminata da un altro uomo è troppo per tutta l'umanità di tutti i secoli.

Perciò vale parlare di un evento diverso. Come quello che vide protagonista un illustre leccese. Chi cammina sul corso di Lecce, in via Libertini, proprio accanto al negozio di biciclette di "Guido e figli", vedrà in alto, al numero 33, una lapide dedicata a monsignor Francesco Petronelli, che nacque in quella casa nel 1880, e poi divenne arcivescovo di Trani.

Monsignor Petronelli fu protagonista, nel 1943, di un episodio su cui dovremmo riflettere proprio il 25 aprile. Lo racconto, per chi non lo sapesse o ricordasse.

In conseguenza di una imboscata tesa il 16 settembre da soldati canadesi e soldati italiani, appiattati dietro un muretto nei pressi del cimitero di Trani, ci furono cinque tedeschi morti e dieci feriti. Due giorni dopo, i militari tedeschi, per rappresaglia, come in via Rasella a Roma, rastrellarono cinquanta ostaggi civili, tra cui persino un ragazzo di 10 anni, e li ammassarono in una piazza per fucilarli.

Monsignor Petronelli, sollecitato dai familiari degli ostaggi, con il suo vicario monsignor Raffaele Perrone, anch'egli salentino di Arnesano, che era a letto infermo, si presentò in quella piazza. Vi era il comandante, un tenente austriaco, e tentarono di intercedere per gli ostaggi, ma senza grossi risultati. Vista l'inutilità della sua richiesta verbale, il nostro arcivescovo, dopo aver benedetto con la sua croce gli ostaggi, offrì in cambio dei cittadini se stesso e la propria vita, ponendosi dinanzi al plotone d'esecuzione. Nel frattempo, si unirono a lui il segretario del Fascio e il podestà di Trani, anche loro dicendo che i civili non avevano nessuna colpa. Dopo una trattativa di otto ore, dalle sei del mattino alle due del pomeriggio, il tenente Wagner si convinse e liberò i cinquanta prigionieri, dopo che l'arcivescovo aveva già impartito l'ultima benedizione agli ostaggi.

Sembra una favola a lieto fine ma non lo è del tutto. Monsignor Petronelli, cioè la chiesa, il podestà e il segretario del Fascio, cioè la struttura politica fascista, chiedono ed ottengono dai tedeschi la liberazione degli ostaggi, evitando in tal modo Fosse Ardeatine pugliesi. Ma la storia non finisce qui. Il giovane tenente tedesco, si chiamava Jelo Webl Will Wagner, fu accusato dai suoi superiori di non aver eseguito l'eccidio per aver ricevuto in dono l'anello dal vescovo di Trani che, invece, aveva voluto regalarglielo perché, come cattolico, ricordasse il nobile gesto. L'ufficiale tedesco fu costretto a scavarsi con le proprie mani una fossa e venne fucilato. Il corpo fu poi trasferito nel cimitero tedesco di Montecassino. Per l'atto eroico compiuto dall'arcivescovo, dal suo segretario e dal podestà, il 7 ottobre di quell'anno giunse a Trani Vittorio Emanuele III, che si era "trasferito" (allora si parlò di fuga) a Brindisi, e conferì loro medaglie di riconoscimento.

Perché questo è il "mio" 25 aprile? Perché persone diverse, al di là dei ruoli politici e religiosi rappresentati, si rivolsero al militare tedesco da uomini ad uomo. E ottennero un atto di umanità sicuramente incomparabile con l'eventuale dono-ricordo dell'anello vescovile. Ma un altro vero eroe fu il giovane tenente tedesco che, per il suo atto di civiltà, morì, scavandosi da solo la fossa. Le cronache locali del tempo non parlano né di pianti né di implorazioni da parte sua, ma di morte silenziosa e dignitosa. Non so se nella sua patria questo tedesco avrà ottenuto riconoscimenti. So che la popolazione di Trani l'ha voluto ricordare e lo ricorda ripetutamente come un eroe.

E' questo il nostro 25 aprile da ricordare. Un 25 aprile pieno di umanità: dove tutti, in una guerra, siamo sconfitti. Non può essere, quindi, una festa, ma l'occasione di una riflessione e di un impegno contro ogni forma di violenza che voglia dividere i popoli e le comunità. È un giorno "contro": contro la guerra, forma disumana che si illude di risolvere problemi e li aggrava, li incattivisce, li rende permanenti e irrisolvibili.

* Giovanni Invitto, già associato di Storia della Filosofia dal 1980, è docente di ruolo di prima fascia in Filosofia Teoretica dal marzo 2001. Ha anche l'incarico di Estetica. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, fa parte del dottorato di ricerca internazionale "Forme e storia dei saperi filosofici", che si svolge tra Lecce e la Sorbonne di Parigi. Dal 1987 dirige il quadrimestrale di filosofia "Segni e comprensione", promosso dal Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali.

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