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Cronaca

Regina Pacis, il procuratore generale: "Condannate don Cesare Lodeserto"

Il pg Giuseppe Vignola ha chiesto in appello la conferma della sentenza di primo grado per don Cesare Lodeserto, ex direttore del Cpt Regina Pacis di San Foca, accusato di violenze, minacce, ingiurie, estorsione e calunnia

 

LECCE – “Chiedo la conferma integrale della sentenza impugnata”. Si è chiusa con queste parole la lunga requisitoria del procuratore generale della Repubblica di Lecce, Giuseppe Vignola, nel processo d’appello a don Cesare Lodeserto, ex direttore del Cpt Regina Pacis di San Foca, imputato a vario titolo e in concorso con altre due persone, il nipote Giuseppe (detto Luca) e Natalia Vieru, per i reati di violenza, minaccia, ingiuria, sequestro di persona, estorsione e calunnia. Il procuratore Vignola ha chiesto la conferma delle pesanti condanne comminate, al termine del processo di primo grado svoltosi in giudizio abbreviato, dal gup Nicola Lariccia: 5 anni e 6 mesi di reclusione per don Cesare; 3 anni e 2 mesi per Giuseppe Lodeserto; 2 anni e 8 mesi per Natalia Vieru.

Nella requisitoria il procuratore generale ha fatto spesso riferimento alle oltre 250 pagine di sentenza, descrivendo quello che era il clima nel Centro di permanenza temporanea Regina Pacis, una sorta di luogo a sé, al di fuori da ogni legge, con un gruppo ristretto di persone a decidere le sorti degli immigrati “ospiti” della struttura. Una struttura, è bene ricordarlo, detentiva, in cui venivano reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno.

Nel clima di terrore, che secondo i testimoni e le parti offese si respirava all’interno del centro, chiunque osava opporsi andava colpito. E’ il caso del dottor Refolo, uno dei medici in servizio al Cpt, pronto a testimoniare sulle presunte colpe di don Cesare, che avrebbe cercato pertanto di convincere un’ospite della struttura, Valeria Campeanu, con cui il medico aveva una relazione, ad accusare il suo compagno di violenza sessuale. Un’accusa da cui l’ex direttore è stato assolto perché il fatto non sussiste. Condannato invece, nell’ambito della stessa vicenda, Armando Mara, uno degli uomini di fiducia di don Cesare, che avrebbe minacciato il dottor Refolo dicendogli: “Te la facciamo pagare, noi ti diamo fuoco alla casa”. Vi è poi la condanna per calunnia nei confronti dell’ufficiale dei carabinieri Elio Dell’Anna, falsamente accusato dal sacerdote, per il gup, di concussione. Accuse che don Cesare avrebbe riferito all’allora comandante provinciale Luigi Robusto.

Le ipotesi di reato più gravi a carico di Cesare e Giuseppe Lodeserto e Natalia Vieru, sono quelle di estorsione e sequestro di persona. Al centro della vicenda “il rapporto di lavoro a nero delle ospiti con il mobilificio Soft Style di Pino Quarta a Novoli”. Un lavoro spesso estenuante per otto o nove ore al giorno, dal lunedì al sabato, per cui le immigrate ricevevano un compenso giornaliero di 25 euro. Per chi si ribellava o si rifiutava di recarsi al lavoro, magari perché non in condizione di farlo, scattavano le minacce e le offese, fino ad arrivare ad impedire di uscire da Regina Pacis, anche per lunghi periodi, sequestrando i passaporti e stracciando i permessi di soggiorno.

Don Cesare Lodeserto in tribunale-3Questi e altri episodi sono al centro del processo in corso dinanzi ai giudici della Corte d’appello. I giudici dovranno verificare e analizzare la vita all’interno di quello che era il più importante dei Centri d’accoglienza, oggi chiuso e abbandonato. Numerose le persone offese, quasi tutte ex ospiti del Cpt. Donne e uomini che non hanno dimenticato e che continuano a chiedere giustizia, e che si sono costituite come parti civili con gli avvocati Maurizio Scardia, Francesco Calabro (che hanno discusso oggi in aula e hanno depositato memorie e note difensive) e Marcello Petrelli. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 11 aprile per la discussione degli avvocati difensori e la sentenza.

 

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