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Cronaca Casarano

In giro con la droga, rischiava 8 anni, ma i giudici lo assolvono

Non reggono le accuse nel processo ad Angelo Moscara, 46 anni, di Casarano, per la vicenda avvenuta l’8 aprile scorso. In aula, un teste lo ha scagionato: “Lo stupefacente era solo mio”

CASARANO - E’ arrivato l'epilogo nella storia iniziata la sera dello scorso 8 aprile, quando Angelo Moscara, 46enne di Casarano, fu bloccato e arrestato, dopo un inseguimento, dai carabinieri, con il compaesano Ivan Caraccio di 36 anni: alla vista dei militari, i due riuscirono a disfarsi di tre chili di droga (uno di cocaina, due di hashish) e provarono a fuggire, l’uno al volante di un’auto, l’altro a piedi. Ma, alla fine, è risultato esserci un solo responsabile.

Nel processo terminato oggi col rito ordinario, la prima sezione penale del tribunale di Lecce ha assolto il primo, sul quale pendeva una richiesta a 8 anni di reclusione avanzata dalla sostituta procuratrice Simona Rizzo.

Non sono ancora note le ragioni del verdetto, lo saranno nei prossimi 90 giorni, ma di certo il collegio presieduto dalla giudice Annalisa De Benedictis ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio.

Attraverso l’avvocato difensore Simone Viva, Moscara ha negato le accuse e oggi in aula, lo stesso Caraccio (che per la stessa vicenda ha già patteggiato lo scorso settembre cinque anni di reclusione e il pagamento di una multa di 23mila e 500 euro), ascoltato come teste, si è attribuita la paternità esclusiva dello stupefacente.

Angelo Moscara è il padre di Giuseppe, il 25enne di Casarano detto “mozzarella” condannato in appello a 19 anni e 4 mesi  per due tentati omicidi (di Luigi Spennato, del 28 novembre del 2016, e di Antonio Amin Afendi, del 25 ottobre del 2019, perché componenti del clan rivale).

Stando alle dichiarazioni dell’ex boss Tommaso Montedoro, divenuto collaboratore di giustizia, Moscara junior avrebbe dato la sua disponibilità anche ad “eliminare” altri personaggi scomodi al sodalizio e tra questi indicò lo stesso Caraccio, reo di aver svelato le dinamiche interne all’associazione mafiosa  e pertanto ritenuto non all’altezza dei compiti assegnati.

A mandare all’aria il progetto e a salvargli la vita, furono i carabinieri che nel maggio del 2017, lo arrestarono per spaccio e qualche giorno dopo eseguirono l’operazione Diarchia con 14 fermi.

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