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Cronaca

Individuato dall'analisi del dna: condannato all'ergastolo, a distanza di vent'anni dall'omicidio

Per la Corte d'Assise di Lecce fu Rocco Pierri, 44enne di Miggiano, a strangolare con una sciarpa un giovane di Copertino Maurizio D’Amico, la notte tra il 16 e il 17 settembre 2001, ad Adliswill (nei pressi di Zurigo)

LECCE - Sembrava irrisolto il caso di Maurizio D’Amico, un giovane di neppure trent’anni, originario di Copertino, strangolato con una sciarpa e ritrovato con la testa avvolta in una busta di cellophan, la notte tra il 16 e il 17 settembre 2001, ad Adliswill (nei pressi di Zurigo). E, invece, dopo dodici anni dal delitto, attraverso l’impiego delle tecniche d’indagine basate sul dna, gli inquirenti riuscirono a risalire al presunto responsabile: Rocco Pierri, 44enne originario di Casarano ma residente a Miggiano.

Oggi si è concluso il processo di primo grado nel quale è stata confermata l’accusa. C’è l’ergastolo nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Lecce, composta dal presidente Pietro Baffa, dalla collega Francesca Mariano e dai giudici popolari, in linea alla richiesta della pubblica accusa rappresentata dal pubblico ministero Francesca Miglietta, il magistrato titolare del fascicolo (che fu trasferito alla Procura di Lecce in quanto il delitto fu commesso da cittadino italiano ai danni di un connazionale).

Pierri (che oggi è un uomo libero) fu arrestato il giorno di Natale del 2012 dagli agenti di polizia del commissariato di Taurisano, mentre era in auto, sulla Taurisano-Miggiano, con la compagna. Su di lui, che nel frattempo si era trasferito a Miggiano e si era fatto una famiglia, spiccava un mandato di cattura internazionale.

L’uomo si è sempre proclamato innocente attraverso i suoi difensori,  gli avvocati Tommaso Stefanizzo ed Ester Nemola (nella foto) che, in mattinata, al termine delle loro arringhe avevano chiesto l’assoluzione, basandosi sul principio del ragionevole dubbio.

Secondo i legali, non c’è un movente e non ci sono prove certe per un verdetto di cGli avvocati Ester Nemola e Tommaso Stefanizzo-3olpevolezza: dal dna trovato sulla vittima, rispetto al quale è stato richiamato il caso di Amanda Knox, al fatto che fosse lui quell’uomo immortalato dalle videocamere di sorveglianza di un istituto di credito elvetico, mentre tentava di prelevare dallo sportello, usando la carta di credito di D’Amico, la somma di 300 franchi svizzeri.

Gli avvocati cercheranno di far valere la loro tesi in appello, non appena i giudici avranno finito di mettere nero su bianco le motivazioni della sentenza (entro quindici giorni) che non lascia spazio a dubbi e che ha riconosciuto anche il risarcimento del danno (in separata sede) e 50mila euro di provvisionale per ciascun familiare, parte civile al processo .

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