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Cronaca

Morte sospetta di un 57enne, prosciolto da ogni accusa un infermiere del 118

Dopo tre anni e mezzo dal decesso per arresto cardiocircolatorio si chiude la vicenda di un paramedico, di cui il gip aveva imposto l'imputazione coatta per omicidio colposo. Il gup ha stabilito che la sua condotta fu professionale e puntuale

LECCE – A causare la morte di Donato Gabellone, 57 anni di Lecce, non fu in alcun modo la condotta di Davide Lovarello 36enne di Brindisi, infermiere in servizio presso il 118 del capoluogo salentino. E’ quanto stabilito dal gup Cinzia Vergine, che ha prosciolto il 36enne da ogni accusa in sede di udienza preliminare. Il giudice, che doveva stabilire se rinviare a giudizio l’infermiere, ha stabilito che non ci fu alcuna negligenza nell’operato di Lovarello.

Si tratta di un caso complesso e a dir poco singolare, poiché era stato il gip Carlo Cazzella a disporre che nei confronti dell'uomo fosse formulata, dal pubblico ministero (che aveva chiesto l’archiviazione del procedimento), l’imputazione coatta per il reato di omicidio colposo.

I fatti fanno riferimento alla notte del 21 novembre del 2009, quando la vittima avvertì improvvisamente un malore, con forti dolori al petto, tanto da richiedere l’intervento del 118. Il centralinista del numero di soccorso, inquadrò l’intervento con un “codice giallo”, inviando sul posto un’ambulanza senza un medico.

Lavarello, secondo quanto denunciato all’epoca dai familiari di Gabellone (assistiti dall’avvocato Marco Pezzuto), eseguì un elettrocardiogramma, invitando il 57enne, in caso di persistenza dei disturbi, a consultare la guardia medica. Gabellone si recò in ospedale la mattina dopo, ma le sue condizioni di salute si aggravarono tanto da provocare il decesso per un arresto cardiocircolatorio.

Il gip, anche sulla base della consulenza del medico legale, stabilì che la condotta di Lovarello era da considerarsi “chiaramente colposa per negligenza e imperizia e merita certamente un vaglio più rigoroso e analitico in sede dibattimentale”. Una tesi che non ha trovato riscontro in sede di udienza preliminare. Il gup, dopo aver ascoltato la testimonianza delle persone presenti quella sera, ha emesso un verdetto di non luogo a procedere nei confronti dell’uomo, stabilendo che il suo intervento fu puntuale e professionale. Una sentenza che rende, almeno in parte, giustizia al 36enne dopo un calvario lungo oltre tre anni.

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