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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Cutrofiano

Insulti e botte alla moglie davanti alla figlioletta, assolto un 40enne di Cutrofiano

Emesso il verdetto nei riguardi di un uomo accusato dalla ex di essere un prevaricatore e un pessimo padre. Il pm aveva chiesto due anni, ma per il giudice, “il fatto non sussiste”

CUTROFIANO - Nel fascicolo d’inchiesta in cui era indagato per maltrattamenti e lesioni, era descritto come un marito violento e un pessimo padre, che avrebbe inveito contro la coniuge in più circostanze con aggressioni fisiche e verbali, anche alla presenza della figlia minorenne. Ma il processo ha ribaltato la sua immagine, stabilendo che non fu responsabile di nessuno dei gravi episodi di cui era accusato.

Per il giudice per l’udienza preliminare Alessandra Sermarini che nei giorni scorsi ha giudicato col rito abbreviato un 40enne di Cutrofiano, “il fatto non sussiste”.

Le motivazioni non sono ancora note, ma a incidere sul verdetto di assoluzione è stata di certo la tesi dell’avvocato difensore Alessandro Mariano che, attraverso una serie di documenti (come un precedente decreto di archiviazione emesso in un altro procedimento sempre per maltrattamenti partito da una delle numerose denunce sporte dalla ex, messaggi whatsapp scambiati tra i coniugi, materiale fotografico, relazioni dei servizi sociali), ha cercato di dimostrare l’inattendibilità delle dichiarazioni della donna.

Quest’ultima riferì agli inquirenti di essere stata minacciata di morte quotidianamente con frasi del tipo “ti sparo”, “ti brucio viva”, e aggredita in più circostanze, dal 2016 al 2020, anche mentre teneva in braccio la figlioletta che in un'occasione cadde a terra, e in un’altra, dopo la separazione, provocandole lesioni giudicate guaribili in cinque giorni. E, ancora, raccontò di essere stata ostacolata nella ricerca e nel mantenimento del posto di lavoro, come quando le fu impedito di rientrare in casa e fu lasciata fuori al freddo nell’auto con la bambina, o quando sbraitò vicino a colleghi e titolare per ostacolare la sua assunzione definitiva.

Per tutte queste ragioni, la pubblica accusa, rappresentata dal pubblico ministero Francesca Miglietta, aveva invocato due anni di reclusione nel processo in cui la presunta vittima si era costituita parte civile e aveva chiesto un risarcimento di ventimila euro. Ma, come detto, le accuse non hanno retto nel processo.

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