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Cronaca

Operazione "Tam tam": in silenzio dinanzi al gip le quindici persone arrestate

Il gruppo fermato nell’ambito del blitz antimafia, condotto dalla squadra mobile di Lecce, non ha rilasciato alcuna dichiarazione nel corso dell’interrogatorio che si è tenuto questa mattina. Soltanto alcuni hanno rilasciato dichiarazioni spontanee, respingendo le accuse rivolte loro

LECCE – Si sono tuti avvalsi della facoltà di non rispondere, nel corso degli interrogatori di garanzia, le quindici persone arrestate lunedì notte dalla squadra mobile di Lecce e dagli agenti del commissariato di Taurisano e del reparto prevenzione crimine nell’ operazione denominata “Tam tam”. Come il passaparola con cui erano soliti scambiarsi informazioni i presunti componenti dell’organizzazione criminale. Smembrato quell’organigramma, gli inquirenti hanno concluso un’indagine durata oltre due anni e mezzo, fermando gli indagati con l’accusa, a vario titolo, di associazione di tipo  mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Scena muta dunque questa mattina, nel carcere di Borgo San Nicola, per gli arrestati. Solo alcuni elementi della presunta organizzazione hanno deciso di rilasciare al gip Cinzia Vergine dichiarazioni spontanee, in cui spiegavano di non aver nulla a che vedere con le accuse loro contestate.

Gli arrestati sono: Tommaso Montedoro, 38enne di Casarano, già detenuto; Rosario Sabato detto “lu pisciatu”, di Taurisano, 36enne, attualmente sottoposto ai domiciliari; Cengs De Paola, detto “fucilla”, di  Acquarica del Capo, 39enne; Stefano Ancora, detto “Steo” di Taurisano, 39enne; Daniele Manco, di Taurisano, 38enne; Marco Antonio Giannelli, di Parabita, 31enne; Rocco Trecchi, di Taurisano, 37enne; Adamo Causo, di Ugento, 44enne; Martinantonio Manco, detto “Martin”, di Taurisano, 43enne; Antonio Parrotto, detto “Panta” , di Casarano, 36ene;  Carmelo Mauro, di Taurisano, 44enne, già detenuto; Alessandro Esposito, di Tricase, 23enne; Enzo Sabato, di Casarano, 39enne;  Gregorio Leo, 50enne di Vernole; Cristiano Cera, di Ugento, 23enne.

L’attività investigativa ha consentito di tracciare l’esistenza, fra Taurisano, Acquarica del Capo, Ugento, Matino e Casarano, dell’associazione, radicata da Gallipoli in giù. Una struttura dedita stabilmente al traffico di sostanze stupefacenti alla quale avrebbero preso parte anche altri individui “impegnati” nello spaccio di sostanze stupefacenti. Il gruppo non avrebbe concesso tregua ai gestori degli stabilimenti balneari del basso Ionio, ancora prima che l’attività fosse avviata. Un’attività di guardiania “offerta” ai clienti-vittime. Sotto coercizione e continue richieste di denaro. Oltre che l’imposizione dei alcuni nominativi di persone da assumere a tutti i costi. L'input investigativo non è stato avviato dalle denunce sporte (spicca a tal proposito, un clima omertoso), ma direttamente dagli elementi a disposizione degli inquirenti. Indagini classiche, attraverso intercettazioni, servizi di appostamento, raccolta di elementi sul campo e analisi dei dati.

Dalla marina di Ugento fino a Santa Maria di Leuca, i titolari dei lidi erano costretti a pagare il pizzo, in cambio di protezione. L’unico modo per poter lasciare sdraio e ombrelloni incustoditi, senza ritrovarseli incendiati il giorno dopo. O, peggio, prima ancora che il locale fosse inaugurato. Il business  del pizzo veniva  gestito principalmente da Cengs De Paola, noto alle cronache locali per l’estorsione, , nel mese di novembre del 2012,  ai danni del primo cittadino di Acquarica del Capo, Francesco Ferraro, e altri due amministratori di quello che, peraltro, è il suo stesso comune di provenienza.

L’indagine nasce dopo la liberazione di Tommaso Montedoro, avvenuta nel luglio del 2012. Appena uscito dal carcere di Taranto, avrebbe incontrato sulla strada del ritorno Rosario Sabato, e fin dai primi giorni di libertà, la polizia avrebbe documentato gli stretti contatti tra i due finalizzati soprattutto all’approvvigionamento della droga, poi immessa sul mercato locale. L’associazione è infatti ricollegabile anche al clan “Vernel” dei fratelli Antonio e Andrea Leo, operanti nei comuni di Calimera, Vernole e Melendugno. In particolare, è emersa la vicinanza tra Montedoro e Gregorio Leo, terzo fratello di Andrea e Antonio, a capo dei “Vernel” da quando gli altri due sono reclusi. Il legame tra i due gruppi criminali era fondato soprattutto su un patto di mutuo soccorso, basato sul regolare versamento di denaro alla famiglia Leo, attraverso la compagna di Andrea, e sulla fornitura di sostanza stupefacente.

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