rotate-mobile
Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Vivere in un carcere: il doppio dramma della condizione delle donne detenute

Antigone è l'associazione che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. La delegazione leccese ha effettuato, dopo un anno a mezzo, una visita a Borgo San Nicola: migliorato il dato sul sovraffollamento. Intervista alla responsabile

LECCE – I detenuti, a Lecce come in tutte le carceri italiane, vivono una condizione che più volte, da osservatori indipendenti ma anche dagli organismi di vigilanza dell’Unione Europea, è stata definita disumana e degradante. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ancora una settimana addietro chiedeva alle istituzioni di fare il punto della situazione. L’Italia ha tempo fino al 27 maggio per presentare alla Corte di giustizia di Strasburgo le soluzioni individuate per migliorare il sistema detentivo.

LeccePrima ha intervistato Maria Pia Scarciglia, responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone – per i diritti e le garanzie nel sistema penale – che opera su tutto il territorio nazionale e membro dell'Osservatorio sulle condizioni delle carceri. Una delegazione ha infatti effettuato nelle scorse settimane una visita a Borgo San Nicola, diretta da Antonio Fullone.

Qual è il bilancio dell’ultima visita al penitenziario?

L’Osservatorio di Antigone aveva effettuato l’ultima  visita nella casa circondariale di Lecce nel settembre 2012 ed aveva trovato una situazione molto critica sul piano della vivibilità visto che i detenuti all’epoca erano circa 1290. Il sovraffollamento li  costringeva  a stare in tre in una cella di soli 10,5 metri quadrati.  Oggi invece  i detenuti presenti a Borgo San Nicola sono sotto i 1123 di cui 1038 uomini e 85 donne e nelle celle ci sono al massimo due persone, in alcune anche una.

Inoltre abbiamo potuto notare che la circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulle cosiddette celle aperte è stata prontamente applicata quasi in tutte le sezioni del carcere leccese, fatta eccezione per il circuito dell’ alta sicurezza. Devo dire che l’attività dell’osservatorio quest’anno si sta concentrando molto sulla applicazione della predetta circolare, un provvedimento che sollecita tutti gli istituti di pena a non circoscrivere i detenuti in una gabbia chiusa, ma consente  libertà di movimento all’interno del padiglione.

A Lecce le celle sono aperte in alcune sezioni dalle ore 08.40 alle ore 11.45 dalle ore 13.00 alle 14.50 dalle 15.00 alle 18.10. Questo accade in tutto il blocco R1 e nella sezione dei dimittendi e di transito. Il sistema appena descritto incide positivamente  sulla vita del detenuto e dell’intera struttura detentiva che al di la delle iniziali resistenze, in particolare da parte degli agenti, si sta abituando gradualmente a questa piccola rivoluzione. I detenuti grazie a questo regime hanno maggiore libertà di movimento, perché possono circolare nei corridoi e passare il tempo in delle stanze definite di socialità. A nostro parere occorrerebbe lavorare di più proprio sugli spazi comuni, luoghi dove i detenuti possono riunirsi per parlare o fare attività ma che allo stato, sono poco sfruttati e privi di modalità di vera interazione. 

Il carcere di Lecce non ha all’interno delle sezioni un luogo  deputato al consumo di cibo che  viene somministrato dalla mensa interna e consumato dentro le celle. Questo impedisce  ai detenuti di socializzare e condividere un momento importante della giornata quale è il pranzo o la cena. Altra proposta è quella di creare all’interno di ogni sezione una cucina spazio fondamentale dove favorire socialità, ma anche creatività soprattutto se pensiamo alle donne.

La cancellazione della Fini-Giovanardi, in che misura può incidere sul sovraffollamento?

I detenuti presenti nelle carceri italiane per violazione della legge sulla droga erano  a fine 2012  25mila 269, il 38,46 per cento del totale. Il dato che più impressionava era quello dei denunciati per cannabis, pari a circa il 42 per cento. Ora abbiamo stimato che saranno oltre 20mila  i detenuti interessati dall’abrogazione della legge Fini, in particolare quelli condannati per le droghe leggere: coloro che lo sono stati in maniera definitiva possono chiedere  alla Procura un incidente di esecuzione. Si tratterà di uno sconto di pena notevole considerato che la nuova legge ne prevede una, in regime di detenzione, da 2 a 6 anni per cannabis. Nulla a che fare insomma con le pene draconiane previste dalle legge Fini Giovanardi:  dai 6 a 20 anni di reclusione per tutte le sostanze. 

Finalmente è stato posto uno stop a quella scellerata e criminogena legge che era la Fini Giovanardi colpevole di avere fatto salire vertiginosamente il numero dei  consumatori detenuti che per pochi grammi finivano nel circuito carcerario anche se incensurati.

Altra zavorra è quella dei tempi giudiziari. Quanti sono a Lecce i detenuti in attesa di giudizio?

Dai dati a nostra disposizione 197 sono i giudicabili, 138 gli appellanti e 127 i ricorrenti.

Una delle criticità riguarda la condizione femminile in carcere. Com’è la situazione a Lecce?

Le donne al momento della visita erano 85 di cui 16 straniere. La sezione femminile a Lecce è piuttosto piccola, perché l’istituto era stato pensato  solo per gli uomini.  Le celle sono aperte quasi tutto il giorno e  non appena termineranno di installare le telecamere gli orari di apertura saranno uguali alla sezione a trattamento avanzato.  La giornata è scandita da orari e da attività. Nella sezione femminile vi è  la scuola primaria e la scuola secondaria.

Al momento sono attivi i seguenti corsi :  Street art e il progetto Orti Verticali. Vi è poi la sartoria dove lavorano appena 7 donne. Il problema della formazione al lavoro è serio e i recenti tagli alla spesa dell’amministrazione penitenziaria pesano non poco se si pensa che tra gli obiettivi della pena detentiva vi è il  reinserimento sociale della persona  detenuta.

La donna per natura ha un modo differente di vivere la reclusione e basta visitare un reparto maschile ed uno femminile per capirne le differenze. Il carcere non è per le donne e questo sistema carcerario ancora meno. La donna detenuta nella maggior parte dei casi è moglie e madre. I sensi di colpa delle madri detenute non hanno eguali e il distacco dai figli è uno degli aspetti più drammatici della detenzione femminile che nemmeno  la legge Finocchiaro è riuscita realmente a risolvere. Oggi la norma dice che le madri detenute possono tenere il figlio con sé fino al compimento dei 3anni.

Ma cosa significa per un bambino separarsi dalla propria madre al superamento di tale età? Da qui si dovrebbe ragionare e pensare a soluzioni e circuiti differenti per coloro che, se non possono andare  agli arresti domiciliari devono essere collocate in  luoghi a custodia attenuata, insieme al proprio bimbo.  Gli studi ci dicono che la donna si ritrova in carcere il più delle volte a causa del suo compagno, ma al contrario degli uomini, che fuori riescono dopotutto a  mantenere  un legame con moglie e  famiglia , la donna è stigmatizzata e spesso abbandonata dal marito e dalla famiglia che non le perdona la violazione del patto sociale a cui lei era stretta.

Diverse volte è stata rimarcata la quasi totale assenza di attività formative e di reinserimento sociale. Sono stati fatti dei passi in avanti?

La casa circondariale di Lecce sta lavorando molto sul trattamento e il fatto che in un istituto di pena operano diverse associazioni, non può che essere positivo. Sono diversi i corsi e le attività ludico culturali all’interno così come le iniziative organizzate dalla direzione per accorciare la distanza tra il carcere e la società civile. Resta però un punto dolente che è il lavoro, troppo pochi i detenuti e le detenute che svolgono per conto dell’amministrazione o per ditte esterne attività lavorativa rispetto ai numeri della detenzione.

Una parte dell’opinione pubblica ragiona spesso con la “pancia” e vede le battaglie per la condizione carceraria con insofferenza. Cosa si sente di dire a queste persone?

Il problema è che l’opinione pubblica è stata sin troppo  isterizzata dalla classe politica sulla questione sicurezza e legalità. Se pensiamo che al governo abbiamo avuto un partito razzista come la Lega  che non ha perso occasione di puntare il dito contro i rom, i neri,  gli stranieri, i drogati o gli omosessuali,  possiamo certamente comprendere,  perché quando si parla di detenuti la gente ragiona con la pancia.

La nostra società è stata avvolta negli ultimi venti anni da una cappa di ignoranza e intolleranza che ha portato leggi nefaste e abominevoli anche sul piano giuridico, come la legge sull’ immigrazione, sulla droga e gli innumerevoli ‘pacchetti sicurezza’. Una società, la nostra che non è cresciuta come avrebbe dovuto con politiche dal volto più  umano e capaci di proteggere le fasce più deboli. Ma al contrario è stata nutrita dal mal costume, dalla furbizia e dall’ arroganza.  Ecco dove sta il problema ed ecco, perché oggi si predilige sempre di più lo strumento penale simbolo per eccellenza di controllo e selezione, abdicando così a politiche sociali il cui compito è quello  di rimuovere le diseguaglianze e promuovere il bene comune.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Vivere in un carcere: il doppio dramma della condizione delle donne detenute

LeccePrima è in caricamento