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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Dopo le minacce, l'allarme della giornalista: “Si sposta l’attenzione dall’inchiesta”

Marilù Mastrogiovanni è stata querelata per un suo approfondimento dopo l'omicidio di Potenza e da ultimo insultata volgarmente da un consigliere

LECCE – Nei giorni scorsi Marilù Mastrogiovanni, direttrice de Il Tacco d’Italia, è stata vittima di una violenta aggressione verbale sui social per aver pubblicato, all’interno di un’inchiesta giornalistica, gli stralci di alcune intercettazioni nelle quali un consigliere comunale è interlocutore di Augustino Potenza, ucciso a colpi di kalashnikov lo scorso ottobre.

Un episodio che ha riportato Casarano agli anni più bui del dominio della criminalità organizzata e che apre, o riapre, inquietanti interrogativi sul radicamento sociale dei clan e sulla loro capacità di infiltrazione nel tessuto economico e politico. Con il suo lavoro giornalistico, Mastrogiovanni, cerca risposte a queste domande.

Nel farlo si è creata una forte contrapposizione con l’amministrazione comunale che nei suoi confronti ha presentato querela dopo la pubblicazione di un’altra inchiesta, il 3 novembre. L’iniziativa dell’amministrazione è stato ricambiata e ieri la giornalista ha presentato una denuncia, per minacce, nei confronti del consigliere comunale.  

Intanto come stai e quanto sei preoccupata dopo questo assurdo episodio? Pochi minuti dopo quelle minacce, i carabinieri erano già sotto casa tua.

Sto bene, non fanno paura queste minacce ma nemmeno se dovessero accadere episodi più pesanti, come già in passato. Quello che mi fa paura è che ancora oggi l’amministrazione comunale e il sindaco non abbiano speso una parola su quanto ho scritto. Mi fa paura che si provi a spostare il fuoco dell’attenzione dal corpo dell’inchiesta a una sorta di colore che ha a che fare con le minacce, anche sessiste, fatto certo gravissimo, ma che sposta l’attenzione da quanto si vive nel basso Salento, con epicentro Casarano e mi fa paura che i cittadini accolgano questa versione perché penso che ora abbiano tutti gli elementi per scendere in piazza.

Che aria tira a Casarano?

Te lo dico con le parole di un collega della Rai, Marco Sabene de L’inviato, che è venuto qui a consumarsi le scarpe, come si suol dire: “Ma che paese è? Così silenzioso, la sera non c’è nessuno in giro”. E’ un posto dove si respira la paura, adesso è come si ci fosse il coprifuoco ma il clima pesante si respirava già da tempo perché c’è molta povertà con la chiusura delle fabbriche migliaia di famiglia sono in ginocchio. Quando sono tornata da Milano, Casarano era una città florida e allegra con stagioni teatrali bellissime, artisti internazionali, attività culturali. Adesso le attività sono soprattutto di stampo religioso. Per carità ci sono associazioni che nel loro piccolo si danno da fare, c’è questa bella realtà di Casarano Libera che è una rete di cittadini e associazioni che cercano di sensibilizzare le coscienze, ma alla fine il nucleo attorno al quale si coagulano tutte le attività sociali è la chiesa, che poi diventa anche impresa per certi versi perché ci sono realtà floride a livello imprenditoriale che danno lavoro, onestamente, però sono anche centri di potere, di voti e di oscurantismo non indifferente.

Quali sono i settori nei quali le infiltrazioni sono particolarmente pesanti in questo momento: nella tua inchiesta, ad esempio, si parla di turismo e rifiuti. Siamo davanti a un’emergenza?

Secondo me si abusa della parola emergenza. Io parlo per il basso Salento, è uno status quo perché dove ci sono le aziende in difficoltà, gli ambienti criminali immettono liquidità. Potenza rilevava aziende - non venivano intestate a lui ma rimanevano dei proprietari - magari chiedeva la presenza di persone di fiducia, però lui dava soldi senza interessi, era un benefattore, era amato: un bar in crisi, piuttosto che un negozio di abbigliamento, un ristorante. Questo era il sistema: perché si è aspettato tanto, perché si è indagato su aspetti tra virgolette tradizionali, come il narcotraffico su cui certamente bisogna continuare a indagare, ma poi come questo flusso di denaro va a corrompere l’economia sana? Secondo me questo non si è fatto o non si è fatto quanto si doveva fare perché di fatto dal 2012, da quando Potenza è stato scarcerato, al 2017, non mi risulta che si sia contrastato la costruzione del suo impero economico.

Quindi esiste un’ulteriore questione, quella dal consenso sociale?

Ma certamente. Del resto se uno ti aiuta e ti dà il pane, come fai a chiamarlo mafioso. E’ questa l’operazione che sta facendo in questa fase la Scu. Io non la vedo, vedo persone che aiutano altre persone e come faccio io a chiamarla mafia? Dove non c’è lo stato c’è la mafia e non c’è più differenza.

Più volte sei stata criticata apertamente dall’amministrazione comunale. In occasione del manifesto nel quale venivi indicata come colpevole di disinformazione la categoria si è mobilitata, dal piano nazionale a quello, per la prima volta in maniera così massiccia, locale.

E’ stato un episodio importantissimo, senza precedenti, al di là delle iscrizioni ai sindacati, le adesioni alle varie correnti. Forse c’è stata la presa d’atto del disagio in cui vive la categoria, ma questo disagio è dettato dallo scarso consenso sociale che c’è nei confronti del giornalismo. Le persone non capiscono che quello che facciamo lo facciamo per difendere un loro diritto. Si sono invertiti i ruoli e allora se è il mafioso il benefattore, la stampa che lo addita diventa il nemico e allora anche di questo bisogna prendere atto.

Come si trasmette ai ragazzi un messaggio autentico di legalità?

Di questa attività parlo poco però mi sembra il caso adesso di farlo: per quanto posso, sono presente nelle scuole e parlo soprattutto con i bambini, secondo me bisogna partire presto. Ovviamente nelle scuole ci sono molti incontri sulla legalità, ma questa parola sta perdendo senso: io penso che si abbia bisogno di modelli, non bisogna spiegare la legalità, bisogna viverla. Si devono offrire modelli di lavoro e di vita alternativi a quelli veicolati dai media, anche complici noi giornalisti. Un modello, per esempio, di donna diverso, e di rigore perché i bambini sono abituati a sentire “politici corrotti”, giornalisti che inventano le storie quindi si va nelle scuole e si dice io sto facendo questo. Io non parlo di legalità, parlo di modelli di cui forse sono testimonianza: dico che un altro mondo è possibile.

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