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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Trepuzzi

L’Inps chiede la restituzione delle indennità già erogate, ma la giudice lo blocca

Accolto il ricorso di una 63enne di Trepuzzi, alla quale l’Istituto aveva continuato a erogare prestazioni di accompagnamento per oltre 26mila euro, nonostante non le fosse più stata riconosciuta da anni l’assistenza continua

TREPUZZI - L’Inps non può chiedere la restituzione di indennità di accompagnamento erogate a chi non aveva più diritto, ma ha continuato a beneficiarne senza dolo.

E’ questo il principio ribadito nella sentenza emessa nei giorni scorsi nel tribunale di Lecce che ha accolto il ricorso presentato da una donna, attraverso gli avvocati Antonio e Ugo Troso, contro le pretese avanzate dall’Istituto di previdenza nazionale di riavere indietro le somme già erogate per complessivi 26mila e 200 euro.

Questa la vicenda finita al vaglio della giudice del lavoro Francesca Costa: nell’aprile del 2013 alla signora, una 63enne di Trepuzzi, fu riconosciuta l’indennità di accompagnamento, ma il 31 marzo del 2015, a seguito di una visita di verifica, la commissione medica che pure le riconobbe un’invalidità totale del 100 per cento, ritenne non fosse necessaria l’assistenza continua.

 L’Inps però non bloccò i pagamenti e continuò a versare le prestazioni per altri quattro anni, fino al 31 luglio del 2019, quando inviò una lettera all’interessata per chiederle di restituire gli importi.

Secondo la giudice, la regola che deriva dai principi già espressi dalla Corte di Cassazione, è quella per cui l’indebito assistenziale, quale quello in esame, in mancanza  di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile (deve essere restituito, ndr) solo  successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che  accerta il venir meno delle condizioni di legge e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia  affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non  sia parte di alcun rapporto assistenziale, né ne abbia mai fatto  richiesta, nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali  o in caso di dolo comprovato dell’accipiens (il beneficiario, ndr)”.

Nella sentenza si sottolinea come l’Istituto non abbia provveduto secondo le regole fissate dall’articolo 7 della legge numero 448 del 1998, una volta venuto meno il requisito  sanitario, a disporre l’immediata sospensione dell’erogazione del beneficio in godimento e a provvedere entro i novanta giorni  successivi, alla revoca delle provvidenze economiche a decorrere dalla data della visita di verifica ed anzi ha continuato ad erogare la prestazione per un lungo lasso di tempo.

I ratei di indennità di accompagnamento (per il periodo dal 1 aprile 2015 al 30 giugno 2019) non dovranno dunque essere restituiti dalla donna.

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