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Cronaca

La vicenda di Andrea Bufano, un calvario lungo un anno per colpe mai commesse

Ha trascorso 35 giorni nell'inferno della Dozza, il carcere di massima sicurezza di Bologna e nove mesi tra domiciliari e obbligo di dimora prima che il gup, assolvendolo dalle accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, gli restitiusse la libertà. Un video, però, avrebbe potuto scagionarlo subito

LECCE – Fa fatica a trattenere le lacrime Andrea Bufano. Le lacrime di chi, dopo mesi di sofferenza e ingiustizia patite, è riuscito a rivedere la luce. Sono passate solo poche ore dal pronunciamento della sentenza con cui il gup Antonia Martalò lo ha assolto dall’accusa di minacce e resistenza aggravata a pubblico ufficiale, restituendogli la piena libertà, dopo quasi un anno. Il 37enne di Martano è uno dei tifosi giallorossi coinvolti negli incidenti all’interno dello stadio “Via del Mare” al termine dell’incontro del 16 giugno 2013 contro il Carpi, che decretò la mancata promozione in serie B dei pugliesi. Nello studio del suo legale, l’avvocato Giuseppe Milli, uno dei pochi a credere e sposare la sua causa per un senso di giustizia, il suo sguardo è ancora frastornato, provato da un lungo calvario. 

La usa unica colpa, come ha sancito la sentenza di primo grado, è stata di aver invaso il terreno di gioco. Una colpa che ha ammesso e di cui si è assunto la piena responsabilità, ma per cui ha pagato un prezzo troppo alto, come sottolinea l’avvocato Milli. E’ l’alba del 6 luglio quando, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, la Digos di Bologna (sezione antiterrorismo) fa irruzione nell’abitazione del fratello di Bufano, studente universitario nella città felsinea. Il 37enne, però, si trova fuori città ma poche ore dopo si presenta negli uffici della Digos, convinto che debbano notificargli il Daspo.

E’ in quel momento che la sua vita cambia, forse, per sempre. Dinanzi allo stupore degli stessi agenti per lui si aprono le porte del carcere, nell’inferno della Dozza, il carcere di massima sicurezza di Bologna costruito negli anni settanta per ospitare i terroristi, una delle strutture carcerarie più sovraffollate e temute dai detenuti. Carcere duro, punitivo come lo chiamano in gergo. L’interrogatorio per rogatoria dinanzi al gip, in cui ammette l’invasione di campo, non sortisce alcun effetto, rimane in carcere.

Per i primi quindici giorni Bufano è completamente isolato, non riesce a mettersi in contatto con i suoi genitori (il padre è gravemente malato) e il suo avvocato. Solo il fratello, dopo vari tentativi, riesce a ottenere un colloquio. E’ qui che entra in scena l’avvocato Milli che, letti gli atti della procura, scopre che l’intera accusa si basa sulle dichiarazioni di uno steward che riferisce che l’indagato, dopo essere stato fermato, “si dimenava alquanto”, senza fare riferimento ad alcuna violenza o minaccia. A corredo di questa tesi tre fotogrammi da un video di cui non vi è traccia. Un video che avrebbe potuto cambiare sin da subito le sorti di questa vicenda giudiziaria. Per l'invasione di campo il tifoso giallorosso è stato condannato a un anno di arresto (si tratta di una contravvenzione e un'ammenda di 4mila euro. Un reato per cui, però, non è prevista la custodia cautelare prevnetiva.

Il 9 agosto, su disposizione del Riesame il 37enne ottiene i domiciliari. L’avvocato Milli comincia la sua personale battaglia alla ricerca di immagini che possa scagionare il suo assistito. Il 26 ottobre la Digos, su istanza della difesa, deposita un filmato che non contiene però gli istanti relativi all’invasione di campo di Bufano. Una lunga ricerca tra emittenti locali e uffici giudiziari che si conclude solo il 24 febbraio, a due giorni dal giudizio con rito abbreviato chiesto dall’imputato e dal suo legale. Un abbreviato condizionato proprio all’acquisizione di quel video, che diventa improvvisamente parte integrante del giudizio e che la stessa Digos deposita.

“Quel video – spiega l’avvocato Milli – è stato acquisito il giorno dopo la gara incriminata, ma non è stato mai depositato dalla polizia giudiziaria, come previsto per legge, al pubblico ministero. Le immagini avrebbero potuto scagionare subito Bufano dalle accuse che hanno portato all’ordinanza di custodia cautelare, ma sono rimate inspiegabilmente chiuse in un cassetto, senza che nessun giudice potesse vederle”. “E’ giusto che l’opinione pubblica – prosegue il penalista leccese – si interroghi su quello che è successo. Lui ha sbagliato e ha pagato e pagherà, ma 35 giorni di carcere, oltre quattro mesi di domiciliari e sei mesi di obbligo di dimora che lo hanno confinato nel suo paese, sono un prezzo ingiusto per colpe che non ha commesso”. L’avvocato Milli, in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza e che la stessa diventi definitiva, si dice pronto a chiedere un risarcimento per ingiusta detenzione in ogni sede competente.

E’ una storia singolare quella di Andrea Bufano, di un ragazzo che accecato dalla passione calcistica (la stessa che per certi versi infiamma questi giorni di Mondiali) ha visto sgretolarsi la sua vita, perdendo anche alcune possibilità di lavoro. A lui, additato come “bestia” da alcuni giornali e alla sua famiglia, bisogna forse porgere delle scuse. 

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