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Cronaca Nardò

“Lavoratori trattati come schiavi nei campi”, processo da rifare

La quinta sezione della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione emessa in Appello nei riguardi degli imputati coinvolti nella clamorosa inchiesta denominata “Sabr”

NARDO' - Ci sarà un nuovo processo agli imputati accusati a vario titolo di aver fatto parte di un’associazione per delinquere che avrebbe lucrato sul sudore di braccianti provenienti dall’Africa, traditi dalla speranza di un futuro migliore. Oggi, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione emessa l’8 aprile del 2019 dalla Corte d’Assise d'Appello di Lecce, presieduta dal giudice Vincenzo Scardia, rinviando gli atti per un nuovo giudizio d’appello.

A fare ricorso contro la decisione, che a sua volta aveva annullato il precedente verdetto di condanna, erano stati il procuratore generale Giovanni Gagliotta e le parti civili, Yvan Sagnet, l’ingegnere camerunese divenuto simbolo della rivolta nei campi, altri sette braccianti, la Regione Puglia, Cgil, camera del lavoro (con l’avvocato Vittorio Angelini), Flai-Cgil (con l’avvocato Viola Messa), e l’associazione Finis Terrae che gestiva la masseria Boncuri (con l’avvocato Maria Russo).

L’assoluzione riguardò sia il reato associativo che quello di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, perché per i giudici di secondo grado non era previsto dalla legge come reato, e interessò gli imprenditori Pantaleo Latino, detto "Pantaluccio", 63enne di Nardò, Livio Mandolfo, 55enne di Nardò e Giovanni Petrelli, 60enne di Carmiano, condannati in primo grado a 11 anni di reclusione, e Marcello Corvo, 64enne di Nardò, che di anni ne aveva rimediati tre.

E ancora: Saber Ben Mahmoud Jelassi, detto “Sabr”, tunisino di 51 anni; Ben Abderrahma Jaouali Sahbi, 50enne, Bilel Ben Aiaya Akremi, 35enne; i cittadini sudanedi Saed Abdellah, detto Said, 35enne; Meki Adem, 60enne;Nizqr Tanjar, 43enne; il tunisino Tahar Ben Rhouma Mehadaoui detto Gullit, 48enne, e gli algerini Mohamed Yazid Ghachir, 53enne, Abdelmalceck Aibeche, 44enne.

I giudici avevano inoltre rideterminato la pena nei riguardi di: Jelassi e di Akremi: il primo a cinque anni e mezzo, più 1.500 euro di multa; il secondo a sei anni e 2mila di multa.

Ma, come detto, il processo si dovrà rifare. A difendere gli imputati ci penseranno gli avvocati: Anna Sabato, Vincenzo Perrone, Giuseppe Cozza, Valerio Spigarelli, Francesco Galluccio Mezio, Amilcare Tana, Mario De Lorenzis, Antonio Palumbo.

L’inchiesta

Era un’associazione per delinquere. Ne era certa il pubblico ministero Elsa Valeria Mignone, il magistrato titolare delle indagini (durate tre anni) sul sodalizio che avrebbe schiavizzato i lavoratori nei campi per la raccolta di angurie e pomodori. E non solo a Nardò. Secondo l’accusa, i braccianti venivano spostati come “pedine” in Puglia, Calabria, Campania o Sicilia, in base alle esigenze di raccolta stagionale.

L’inchiesta denominata Sabr, che sfociò il 23 maggio del 2012 in 22 ordinanze di custodia cautelare in carcere, fece luce su un’organizzazione a struttura piramidale: al vertice, gli imprenditori locali accordati tra loro in una sorta di “cartello”, che si sarebbero affidati ai reclutatori, il cui compito era far arrivare risorse umane dall’estero; a seguire, i caporali o capi cellula, impegnati nella gestione di spostamenti dei lavoratori entro i confini del Bel Paese. I capi squadra, invece, si sarebbero occupati, tra le altre cose, del trasporto nei campi. Alla base della piramide, infine, i braccianti sottoposti a turni massacranti (10-12 ore al giorno senza riposo settimanale) in cambio di paghe irrisorie, decurtate dai padroni delle spese per vivande e trasporto.

Al banco degli imputati, dinanzi alla Corte d’assise di Lecce, (composta dal presidente Roberto Tanisi, dal giudice Francesca Mariano e dai giudici popolari) finirono in sedici, nove stranieri e sette imprenditori salentini.

Le accuse contestate a vario titolo erano: riduzione in schiavitù, associazione per delinquere, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, violenza privata, falsità materiale, favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza di stranieri in condizioni di clandestinità.

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