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Cronaca

Case popolari e voti, il nodo delle intimidazioni ai politici leccesi

Sono tre gli episodi ai quali aveva fatto riferimento il gip Gallo per ricostruire il contesto nel quale si svolsero i presunti abusi. Nel mirino: Marti, Monosi e Pasqualini

LECCE - Tre proiettili calibro 9 x 21 recapitati nella villetta di Attilio Monosi, contenuti in una busta con una chiara indicazione scritta a penna: “Destinatario: assessore Attilio Monosi”. Era il 4 gennaio del 2013 e a fare l’amara scoperta fu la moglie del commercialista e politico leccese.

Sotto la lente d’ingrandimento degli agenti della Digos che svolsero le indagini c’era soprattutto l’attività politica del destinatario, all’epoca dei fatti assessore nella Giunta del sindaco Paolo Perrone con il maggior numero di deleghe: Bilancio, Programmazione economica, Tributi, Patrimonio, Politiche energetiche, Rapporti con le società partecipate e personale, Edilizia residenziale pubblica e Politiche abitative. Ed è soprattutto su quest’ultima che gli investigatori puntarono i riflettori anche in considerazione del fatto che non fosse la prima intimidazione ai danni di un politico impegnato nel settore delle case popolari e dei contributi per il pagamento degli affitti. Prima di Monosi, infatti, furono colpiti Roberto Marti e Luca Pasqualini: al primo fu incendiata la jeep, al secondo fu dato alle fiamme l’ingresso della residenza al mare.

Gli episodi, rimasti senza responsabili, acquistano una valenza diversa, alla luce di quanto “scoperchiato” dall’inchiesta sugli alloggi popolari in cambio di voti che lo scorso 7 settembre ha mandato ai domiciliari gli stessi Pasqualini e Monosi.

Ne parla il giudice Giovanni Gallo nell’ordinanza di custodia cautelare per ricostruire il contesto generale nel quale si svolgono i presunti abusi, facendo riferimento alle tre auto incendiate a Roberto Marti, attuale senatore della Lega (nell’agosto 2009, nell’aprile 2011 e nel dicembre 2013) e la porta annerita della casa al mare di Pasqualini (nell’estate del 2009).

Di queste vicende ne discutono al telefono, il 14 aprile del 2012, in piena campagna elettorale per le comunali, Nunzia Brandi e Gianni Peyla, commentando le notizie sull’inchiesta di case promesse in cambio di voti, apparse il giorno prima sugli organi di stampa. Brandi riferiva al suo interlocutore che quanto denunciato dalla stampa era vero perché aveva appreso da persone del suo comitato che Pasqualini disponeva delle chiavi di un alloggio comunale e che lo stesso veniva utilizzato come merce di scambio verso gli elettori in cambio della promessa di voto.

Peyla confermava quanto riferito dalla donna puntualizzando che gli alloggi erano due. Brandi si dimostrava contraria a tali comportamenti (definiti dalla stessa “porcate”) aggiungendo che i soggetti che ponevano in essere tali condotte, così come accaduto in passato, correvano il rischio di essere picchiati o di subire l'incendio dell'autovettura. Peyla rispondeva che questo era già accaduto in riferimento agli incendi subiti da Marti e da Pasqualini. Infatti, lo stesso, da responsabile presso l'ufficio casa all'epoca in cui Marti era assessore, era stato “promosso” ad assessore con delega alla Polizia municipale.

Scrive il gip Gallo a pagina 291 della corposa ordinanza di custodia cautelare: “Rispetto alle vicende che si collocano in tale periodo, come peraltro già evidenziato nella premessa del richiesta del pm, nessuna contestazione viene elevata sotto il profilo penale, non perché, ovviamente, non si evidenziano delle criticità che in alcuni casi sono astrattamente riconducibili ad ipotesi penalmente rilevanti, ma perché il tempo trascorso ha sostanzialmente reso inattuabile qualunque possibilità di investigazione utile ad acquisire oggettivi riscontri tali da supportare una contestazione rispetto peraltro a episodi ampiamente prescritti già nella fase dell'avvio dell'indagine”. 

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