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Cronaca

Derby & combine, Semeraro e Quarta rei oltre ogni ragionevole dubbio

In 33 pagine i giudici d'appello smontano tesi alternative ed eccezioni. Testimonianze e riscontri portano a un quadro ben solido

LECCE – Mentre il Lecce si appresta alla volata finale per riconquistare la B sull’onda propulsiva di sette punti di differenza rispetto a un Catania al momento confuso e infelice, ci pensano i giudici della Corte d’appello di Bari a ricordare perché i giallorossi da anni si stanno barcamenando tra le fiamme infernali della serie C.

Sono state pubblicate, infatti, le motivazioni riguardanti le condanne a un anno e mezzo (con pena sospesa), confermate anche in secondo grado nel novembre scorso, per l’ex presidente del sodalizio giallorosso, Pierandrea Semeraro, e per colui che è sempre stato ritenuto il suo complice più stretto, il commerciante leccese Carlo Quarta.

Al centro di tutto, il famigerato derby “truccato” del 15 maggio 2011. Quel giorno i salentini conquistarono la matematica permanenza in A sul campo del più acerrimo dei rivali, un Bari all’epoca ormai già retrocesso. Ma sulla scorta di rivelazioni e indagini, nell’ambito dello scandalo nazionale sul calcio scommesse, nella primavera del 2012 fu decretata la retrocessione a tavolino. Galeotto fu l’autogol di Andrea Masiello, oggi in forza nell’Atalanta, dopo aver saldato il suo debito con la giustizia, all’epoca capitano di biancorossi e soggetto attorno al quale ruotò l’intera vicenda.     

Ebbene, davanti agli occhi della corte (presidente Maria Iavocone, consiglieri Gabriele Protomastro e Lorenzo Gadaleta), il pesante quadro probatorio a carico di Semeraro e Quarta non ha vacillato di un solo centimetro. Nessuna delle eccezioni mosse dalla difesa ha scalfito le convinzioni maturate dal Collegio. Solo la posizione del terzo imputato, Marcello Di Lorenzo, barese, indicato fra gli amici degli scommettitori che avrebbero avviato la trattativa, Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, n’è uscita del tutto ribaltata. Nel suo caso, non vi sarebbe la prova provata di un effettivo coinvolgimento materiale nella vicenda, dalla fase degli accordi, fino alla spartizione del bottino. 

Il reato consumato a Bari

In poco più di trenta pagine, dunque, i giudici hanno ricordato, in primis, che la frode sportiva è da annoverare fra i cosiddetti reati di pericolo. Un fatto che “si consuma nel momento stesso in cui viene formulata la promessa o l'offerta di un vantaggio indebito”. E non vi è dubbio a loro avviso che tutto si sia “perfezionato nel territorio di Bari”. La proposta vera e propria sarebbe cioè pervenuta ad Andrea Masiello, il 14 maggio del 2011, tramite Carella e Giacobbe, presso l'Hotel Park Vittoria di Bari Palese, mentre era in ritiro insieme con i suoi compagni di squadra.

Non è un passaggio irrilevante. Perché la difesa contava, fra le altre cose, sull’incompetenza territoriale per rimodulare tutto. Ma a tale proposito, i giudici hanno ritenuto che, sebbene l'offerta fosse state preceduta dall'incontro tra Carella e Quarta quello stesso giorno a Lecce, in cui sarebbe stato consegnato un assegno da 300mila euro a titolo di garanzia del pagamento in contanti, a incontro terminato e risultato raggiunto, il fatto sostanziale si sarebbe consumato solo dopo, a Bari, non avendone avuto ancora conoscenza Masiello. In tal senso sono stati valutati testimonianze e riscontri tecnici.

Di Lorenzo: nessuna prova concreta su di lui

Ma mentre per la Corte preminente Semeraro, in qualità di promotore, e Quarta, quale intermediario, avrebbero un ruolo preminente nella faccenda, così non si può dire per Di Lorenzo. Tant’è che è stato assolto dal reato di concorso in frode sportiva per non aver commesso il fatto. Ovvero, il coinvolgimento  nella "combine"  non avrebbe peso sostanziale in alcun passaggio. E’ vero che il 14 maggio del 2011 Carella si recò  a  Lecce  in compagnia  di  Giacobbe  e  Di Lorenzo proprio con l’auto di  quest'ultimo,  per un incontro con Quarta. Tuttavia, Di Lorenzo non avrebbe partecipato all'incontro, riservato al solo Carella, che ricevette l’assegno. Quindi, manca il suo contributo e, sebbene messo al corrente nel viaggio di ritorno, esattamente come Giacobbe, della promessa ricevuta da Quarta, la presenza di Di Lorenzo, “non è indice della consapevolezza del medesimo delle motivazioni della spedizione  in Salento”.

Non solo Di Lorenzo avrebbe appreso tutto solo in questa circostanza, dunque, ma non avrebbe nemmeno preso parte all'incontro  con Masiello presso l'Hotel Park Vittoria. E pur essendo emerso dalle dichiarazioni rese degli altri che alla spartizione della somma avrebbe partecipato anche Di Lorenzo, non è stato possibile accertare né quanto avrebbe percepito, né se realmente abbia percepito qualcosa. Lui, mai presente agli incontri durante  i quali, in più fasi, sarebbero avvenuti gli scambi di denaro.

Quarta e Semeraro rei oltre ogni ragionevole dubbio

semeraropalco-7-2-3-2-2Diversamente, per Semeraro e Quarta emergerebbe la fatidica “prova al di là di ogni ragionevole dubbio”. Al punto che i giudici ritengono superfluo acquisire altri elementi, rigettando la richiesta di rinnovare l'istruttoria dibattimentale 

Tutto ciò che è stato raccolto nella fase investigativa sarebbe quindi provato appieno. Dichiarazioni testimoniali, ritenute univoche e convergenti, e riscontri  come tabulati  telefonici,  trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche, documentazione bancaria, incrociati fra loro, traccerebbero una via ben definita.

“Non vi è dubbio che Pierandrea Semeraro – scrivono i giudici -, avvalendosi dell'intermediazione  di Carlo Quarta, abbia promesso e poi materialmente offerto ad Andrea Masiello, per tramite degli intermediari e suoi amici baresi, una somma di denaro pari a 300mila euro allo specifico fine di alterare il regolare svolgimento della partita di calcio del derby Bari-Lecce e conseguire un risultato favorevole per la squadra di calcio da lui presieduta”.

Carella, infatti, ha dichiarato di aver intrattenuto dapprima un incontro il 12 maggio 2011 con Quarta, a Bari, volto a verificare la disponibilità da parte di Semeraro a “comprare” la partita; alla fase delle trattative sarebbero susseguiti  una  serie  di contatti telefonici ampiamente riscontrati.

Nessun dubbio nemmeno sull'identità di chi usava le utenze intestate a Giovanni Carella, Carlo Quarta e Nexus Holding, società di cui Pierandrea Semeraro era all’epoca presidente, nonostante le contestazioni mosse su quest’ultimo punto. E l'esito del derby stesso, in cui ha concorso l’ormai arcinoto autogol, visto e rivisto in tutte le salse, a velocità normale e ridotta, sarebbe un altro “elemento indiziante a carico dell'imputato Semeraro”, considerato “un interesse attuale e concreto […] all'alterazione del risultato, consistito in vantaggi economici sia in termini di valore della società, sia di guadagni in diritti televisivi  e sponsorizzazioni”. Traduzione del tutto, un concetto ovvio: la serie A è meglio della B. 

Non sono vittime di Andrea Masiello

Gli imputati, per il Collegio, non possono ritenersi nemmeno “vittime di un inganno orchestrato dal Masiello e i suoi complici per indurli ad adempiere al pagamento della somma promessa, pur non avendo materialmente truccato la partita, perché l'autogoal segnato dal Masiello durante il derby Bari- Lecce sarebbe stato un gesto involontario”.

Queste altre tesi ancora, per i giudici sono sconfessate in modo chiaro dalla mole di prove. E, in ogni caso, non meritano attenzione alla luce delle condotte, soprattutto nella fase delle trattative e della consumazione della frode, “trattandosi – come già anticipato - di un delitto costruito come reato di pericolo per la cui integrazione non è richiesto il verificarsi di un evento in senso materiale […], ma, invece, la consumazione, dunque il disvalore tra condotta e bene giuridico penalmente rilevante, è anticipata al mero compimento di un'attività finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione sportiva”.

Impossibile in un simile contesto riconoscere circostanze attenuanti generiche, considerati elementi quali la gravità del fatto, l'intensità che ha animato le condotte, il danno provocato e l'insussistenza di elementi a favore degli imputati. Ecco perché un anno e mezzo a testa, una multa di 10mila euro e risarcimenti economici per ciascuno dei 150 tifosi salentini rappresentati in giudizio dagli avvocati Giuseppe Milli, Francesco Calabro, Luigi Aquaro e Giacinto Epifani.

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