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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Derby & combine: dai verbali dell'interrogatorio emerge tutta l'ambiguità di Masiello

L'ex capitano del Bari si dice pentito. Ma il suo racconto è pieno di lacune e non chiarisce mai del tutto se abbia influenzato davvero la gara costata al Lecce la retrocessione. Però svela tutti i retroscena A partire dagli accordi per la consegna del denaro. Ecco le sue dichiarazioni

LECCE – “Sono successe talmente tante cose che sono arrivato al punto poi di liberarmi di questo peso e di pentirmi di quello che ho fatto”.

Inizia così, lo scorso 28 marzo, la deposizione di Andrea Masiello, ex capitano del Bari calcio. Una lunga discesa all’inferno di un uomo che, secondo i magistrati baresi, avrebbe, nel doppio ruolo di “corrotto e corruttore”, alterato il risultato di alcune gare, tra cui proprio il derby con il Lecce del 15 maggio 2011.

Il calciatore toscano è stato sentito come teste nel processo che vede imputati, con l'accusa di frode sportiva, l'ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro, l'imprenditore Carlo Quarta e Marcello Di Lorenzo, amico dell'ex difensore del Bari. Lo stesso Masiello, e i due suoi complici, Gianni Carella e Fabio Giacobbe, accusati anche di associazione per delinquere perché coinvolti in più di una combine, hanno già patteggiato rispettivamente una pena di un anno e 10 mesi, e un anno e 5 mesi.

Una combine dai contorni sfumati, presunti e poco chiari, che è costata al Lecce la retrocessione in Lega Pro e a Masiello una squalifica che solo a gennaio 2015 gli consentirà di tornare in campo.

Il racconto dell’ex capitano biancorosso (qui riportato testualmente, come da atti, Ndr) parte dai gironi precedenti al derby: “In settimana accade che dopo l'allenamento vengo contattato da Giacobbe e Carella, di raggiungerli a Poggiofranco presso il Mozart Caffè, dove lì mi fanno questa proposta, dove Carella parla di questo suo amico di Lecce che si era disposto ad offrire una cifra importante in cambio della sconfitta del Bari nel derby della domenica”.

Nella mente del giocatore inizia a insinuarsi il tarlo del tradimento: “Eravamo in ritiro a Palese all'hotel Vittoria, mi raggiungono in ritiro, erano in macchina Di Lorenzo, Carella e Giacobbe, i quali scesero al di fuori di Di Lorenzo che rimase giù, io li andai a prendere sotto l'albergo e Carella mi fece vedere un assegno di 300 mila euro. Mi disse di nuovo che voleva parlare con i miei compagni per poter far sì che accettassero per consumare l'illecito”.

I calciatori del Bari, forse spinti da un sentimento di sportività e correttezza, o semplicemente intimoriti dal clima che in quei giorni serpeggiava in città e tra i tifosi, rifiutano l’offerta. Carella sventola una mazzetta di soldi come fosse al mercato.

E’ proprio sui particolari della gara che Masiello si fa, ancora una volta, ambiguo ed enigmatico, delineando la personalità di un personaggio disonesto, capace di fornire versioni diverse e pentimenti poco convincenti.

Perché se vendere un derby può essere considerato il peggior abominio da parte di un tifoso, realizzare volontariamente un autogol e sancire la salvezza dei rivali storici, sono la peggiori infamie per un calciatore. Perché un autogol nel derby non è soltanto un tradimento, è un atto quasi blasfemo.

Durante la partita, il primo tempo ho giocato bene, con intensità, con voglia di vincere, - spiega il difensore al giudice – però dentro di me pesava sempre questo macigno di richiesta di far perdere il Bari, la mia squadra, con questa somma di denaro. Poi il secondo tempo successe quello che successe con l'episodio dell'autorete, dove tuttora adesso, ripeto, non mi sono impegnato al mille per mille per poter salvare quel goal, dove gli ultimi cinque minuti della partita, dieci minuti se non vado errato, sul tiro di un avversario dove il nostro portiere esce ed io faccio la corsa per andare in porta, però non mi accorgo della posizione mia reale del momento. Fatto sta che la palla mi picchiò sul piede e andò in porta”. A distanza di quattro anni, dunque, Masiello non svela se quell’autogol lo provocò volontariamente, rimane ambiguo e poco convincente.

Ritorna più preciso nella sua trasferta leccese, per incassare il prezzo del tradimento: “Andai da Bergamo Bari, ci dovevamo trasferire a Lecce, all'hotel Tiziano, dove Carella aveva preso accordi con il signor Quarta per poi stabilire alla fine il denaro, che ci dovevano dare”.

Poi tira nuovamente in ballo un avvocato leccese, vicino alla famiglia (la cui posizione è già stata valutata e archiviata): “Successe che arrivò l’avvocato, ci appartammo dentro l'albergo io e lui e voleva sapere come erano andati i fatti ed io gli avevo spiegato per filo e per segno quello che era successo dal momento che era arrivata la richiesta e niente, mi continuava a far sì con la testa, poi di esserne certo perché non voleva passar male di fronte alla famiglia, come mi è stato riferito a me. Poi siamo usciti dall'albergo, lui se ne è andato e poco dopo è ritornato con una valigetta piena di soldi”.

Per incassare i soldi della combine Masiello sceglie una data particolare: “Giacobbe, Carella e Di Lorenzo, vennero tutti e tre al battesimo di mia figlia e me li consegnarono. Ripeto, me ne vergogno, perché un giocatore di serie A che si mette a fare queste cose per 35 mila euro non ne vale la pena”. Questo il prezzo del tradimento, non trenta denari ma 35mila euro, in una storia che sembra incarnare tutti i mali del calcio moderno. Di sogni stritolati dal dio denaro e di uno sport infangato da avidità e valori inesistenti.

Del processo fanno parte anche circa 150 tifosi giallorossi, ammessi tra le parti civili e assistiti, in gran parte (ben 71), dagli avvocati Giuseppe Milli e Francesco Calabro. Si tratta di una costituzione storica e unica nel suo genere, destinata a creare un precedente importante nella giurisprudenza nostrana. A loro, più che a ogni altro, questo processo deve dare giustizia e ripagare, almeno in parte, la fiducia tradita e una fede calpestata.

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