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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Processo La Fiorita: nessun disegno ordito dai giudici ai danni di Raffaele Fitto

Il gip Antonia Martalò ha definitivamente chiuso la questione sulle pesanti accuse mosse dal deputato e dal suo avvocato, Sisto, che lamentavano una serie di sospetti sul trattamento a lui riservato, chiamando in causa Luigi Forleo, Clara Goffredo e Marco Galesi. "Nessuna violazione di legge"

LECCE - Nessuna violazione di legge nella formazione del collegio giudicante. Nessuna disparità di trattamento per tempi e ritmi fra prima e seconda fase del processo. Nessuna compressione del diritto di difesa. Sono questi alcuni dei punti cardine su cui si fonda l’archiviazione disposta dal gip di Lecce, Antonia Martalò, sul caso che vedeva al centro dell’accusa i giudici del Tribunale di Bari Luigi Forleo, Clara Goffredo e Marco Galesi.

C’era davvero di tutto, negli strali lanciati verso i magistrati baresi dal deputato magliese di Forza Italia, Raffaele Fitto. Tramite il proprio avvocato, Francesco Paolo Sisto, li aveva denunciati il 12 marzo dello scorso anno. Riteneva, infatti, che fosse stato ordito un vero e proprio disegno per arrivare a una condanna nel corso del noto caso “La Fiorita”, e pronunciarla in tempi stretti, a ridosso della campagna elettorale, il 13 febbraio dello scorso anno. Non solo. Per Fitto si sarebbe consumato un evidente squilibrio fra l’excursus di altri processi rispetto al trattamento a lui riservato.

Fitto e Sisto, a tal proposito, hanno fatto riemergere dalle nebbie la “Missione Arcobaleno”, con diversi indagati per vari reati compiuti all’ombra di un’operazione umanitaria voluta nel 1999 dal governo D’Alema in Albania per sostenere i kosovari, e concluso però con un non luogo a procedere a dodici anni di distanza dai primi arresti. A presiedere il collegio, vi era il giudice Forleo.  

Diverso, come noto, l’esito per il deputato forzista. E’ stato condannato in primo grado a quattro anni (tre condonati per l’indulto) per una vicenda legata a presunte tangenti da mezzo milione di euro che sarebbero state intascate dal movimento politico che all’epoca lo sosteneva, La Puglia prima di tutto, per appalti nella sanità pubblica. Il quel periodo Fitto rivestiva la carica di presidente della Regione Puglia.

Già il procuratore Cataldo Motta, però, aveva ravvisato l’inconsistenza di tutte le accuse mosse ai giudici, difesi dall’avvocato del foro di Lecce Giuseppe Milli, chiedendo l’archiviazione della querela. Strenuamente Fitto ha portato avanti la sua causa. E davanti all’opposizione presentata dal legale del deputato, è toccata oggi al gip l’ultima parola. Per incassare però il secondo colpo. Caso definitivamente chiuso, dunque, con il respingimento di ogni contestazione.

Il deputato ha sostenuto tesi piuttosto forti, a partire dal fatto che sarebbe stato creato un collegio giudicante “ad hoc”. Ha poi proseguito dicendo che i testi dell’accusa sarebbero stati ascoltati nell'arco di diciassette mesi, secondo un programma prestabilito, con prova a discarico invece compressa in pochi mesi. Ancora, Fitto ha rimarcato che sarebbero state celebrate almeno tre udienze a settimana, ognuna delle quali durata fra dieci e dodici ore, che i testimoni della difesa sarebbero stati ascoltati in numero di trenta alla volta, spesso condotti in modo coatto, e che al suo difensore sarebbero stati imposti tempi e ritmi elevati.

Piuttosto pesanti anche le accuse specifiche mosse ai giudici Galesi e Goffredo: questi, a suo dire, avrebbero rinviato molti processi pendenti presso il tribunale monocratico e la sezione distaccata di Altamura, con l’effetto di produrre la prescrizione di molti casi.

Nel dispositivo, di nove pagine, il gip Martalò ha però smontato punto per punto ogni sospetto di Fitto sulla condotta dei magistrati. Per il gip, infatti, così come già provato dalla Procura di Lecce, il collegio sarebbe stato composto “nel pieno rispetto delle regole tabellari del Tribunale di Bari”. Allo stesso modo, la sostituzione del giudice Giuseppe Battista con Marco Galesi, corrisponderebbe alla regolare copertura del “posto tabellare presso la sezione distaccata di Altamura” da parte del secondo, con “conseguente esonero del magistrato che fino a quel momento era stato applicato a copertura del posto vacante”.

“La previsione che a comporre quel collegio fosse il giudice addetto alla sezione di Altamura – ha precisato il gip - era precedente alla nomina del dottor Galesi”. A tal proposito, il giudice Antonia Martalò ha citato anche un caso analogo, quello che vedeva imputate oltre cento persone nel processo “Farmatruffa” (sentenza del 14 ottobre 2010), in cui Galesi aveva preso il posto del collega.

Per il gip è legittimo anche che il procedimento sia stato spostato dalla prima sezione collegiale del Tribunale di Bari alla seconda, giacché fra i reati contestati vi era anche quello di riciclaggio, “attribuito per tabella quest’ultima sezione”.  

Sulla presunta disparità di tempi e ritmi fra prima e seconda fase del dibattimento, il gip leccese ha rilevato che l’esame dei testimoni è stato disposto di comune accordo da accusa e difensori dei vari imputati, a seguito del deposito della perizia sulla trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali svolte in fase d’indagine. Si tratta di un fatto, questo, che avrebbe generato di conseguenza un dilatamento dei tempi che “non poteva che riguardare la sola prima fase”, giacché quella in cui si procedette alle trascrizioni delle conversazioni, “e non anche la seconda”.

Il gip ha evidenziato anche che “durante la fase di escussione dei testi dell'accusa, in realtà si procedette anche a parte della prova a discarico, atteso  che gli stessi ufficiali di polizia giudiziaria erano stati ammessi anche quali  testimoni degli imputati”. Come dire: il tempo trascorso per ascoltare i testi dell’accusa è stato anche impiegato dai difensori degli imputati. E non ha mancato neanche di ricordare che dall’analisi degli atti si evincerebbe come proprio l’avvocato Sisto avrebbe occupato almeno tre di tali udienze.  

L’analisi dei verbali ha portato il giudice anche a sottolineare che sempre e solo nella prima fase del dibattimento, i difensori degli imputati, e più spesso proprio quello di Fitto, avrebbero occupato gran parte delle udienze con eccezioni di nullità. E ancora, “la formazione del calendario e la durata delle udienze sono risultate spesso condizionate proprio dagli impegni parlamentari tanto dell'imputato Fitto, quanto del suo difensore onorevole Sisto, i quali chiedevano disporsi il differimento dell'udienza ad altra data”. E le istanze, si ricorda nel dispositivo, sono state sempre accolte.

In merito ai tempi di celebrazione delle udienze, nel processo “La Fiorita”, queste si sarebbero svolte in modi diversi. In alcuni casi si sarebbero protratte fino a pomeriggio inoltrato, più spesso si sarebbero concluse nel primo arco della giornata, ma indifferentemente tanto in quella che Fitto ha indicato come “prima fase del dibattimento, quanto nella seconda”.

“In ogni caso si è trattato di orari frequenti nelle aule di giustizia, specie per udienze collegiali”, ha scritto il gip, che ha posto identica considerazione per la lettura della sentenza, avvenuta a tarda ora. Per il parlamentare, ciò sarebbe accaduto sempre secondo quel disegno di “accelerare” il procedimento, ma per il giudice tutto si sarebbe svolto nel pieno rispetto della norma la quale prevede, in assenza di richiesta di replica, il ritiro in camera di consiglio e l’immediatezza del pronunciamento.

Al vaglio c’era poi la questione riguardante provvedimenti coercitivi nei confronti dei testimoni. Il gip ha menzionato il fatto che questi sarebbero stati adottati anche nei confronti dei testimoni chiamati dall’accusa, nel rispetto del rito, mentre ha sostenuto che non vi sarebbe alcuna prova del fatto che testi della difesa sarebbero stati condotti in tribunale in ambulanza.

Equidiviso sembrerebbe inoltre il numero di testi previsti per l’escussione, fra accusa e difesa, tutti ascoltati per il tempo ritenuto necessario, e non a ritmi elevati, e senza alcuna preclusione ai danni di Fitto. Anzi, lo stesso avvocato difensore del parlamentare, nell’udienza del 3 dicembre del 2012, dichiarò di voler rinunciare ad alcuni fra i testimoni indicati nella propria lista. Così come ampio spazio è stato concesso per dichiarazioni spontanee del deputato e alle conclusioni di Sisto, per le quali ci sono volute ben due sedute.

L’aspetto più interessante era però legato alla comparazione di diversi processi e alle presunte disparità nell’andamento. A tal proposito, non vi sarebbe prova in merito alle indicazioni fornite da Fitto sul numero di processi che in particolare i magistrati Goffredo e Galesi avrebbero dovuto rinviare per dedicarsi a quello de “La Fiorita”, con la conseguente prescrizione dei reati.

La memoria difensiva del giudice Galesi, in particolare, ha dimostrato come egli abbia dovuto rinviare solo sei delle venti udienze monocratiche tenute in quel periodo, tutte di soli tre mesi e che si sarebbero poi concluse con ventisette sentenze. In soli sette casi, tra l’altro, è intervenuta la prescrizione, maturata comunque prima del rinvio disposto in concomitanza dell’impegno con il collegio per il processo a Fitto.

Nel caso dell’altro giudice, Clara Goffredo, non è stato rinviato alcun suo processo nella concomitanza dei fatti e soltanto tre udienze sono state trattenute al Got in sua sostituzione. Nessuna anomalia, dunque.

Infine, il caso Forleo e il summenzionato processo per i fatti riguardanti la “Missione Arcobaleno”, assunto da Fitto come esempio lampante di una sproporzione su tempi e modi del giudizio. Ma il gip Martalò ha ripercorso tutto l’excursus, arrivando alla conclusione che non vi sarebbe alcuna “colpa” attribuibile a Forleo o ad altri del collegio giudicante in genere.

Quel caso riguardava fatti di peculato e abusi d'ufficio risalenti al 1999. Si arrivò al dibattimento nientemeno che il 30 ottobre del 2008 e fu assegnato a Forleo soltanto il 19 aprile del 2010. La sentenza di non luogo a procedere risale al 17 maggio del 2012, su richiesta di tutte le parti in gioco, poiché era ormai spirato il tempo massimo.

Per il gip Martalò sarebbe quindi una forzatura ritenere che Forleo, in qualità di presidente del collegio, e gli altri giudici, possano aver “deciso di portare a prescrizione i reati di un caso giunto a dibattimento dopo undici anni dall’iscrizione nel registro degli indagati, per celebrare a tutti i costi quello che vedeva imputato l’onorevole Fitto”. Semmai, ha scritto il giudice, seppure nel caso “Missione Arcobaleno” ci fosse stata inerzia, questa si potrebbe attribuire alla Procura di Bari.  Nessun dolo da parte del collegio, dunque, e nessun danno inflitto per calcolo a Fitto. 

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