Buona sanità: tre equipe, una patologia rara, un delicato intervento. Salvata una donna
Una paziente 62enne di Brindisi è stata salvata grazie ad un intervento multidisciplinare di cardiochirurghi, chirurghi vascolari e urologi del "Vito Fazzi" di Lecce. Soffriva di un tumore renale destro con interessamento trombotico dell'atrio. Casi simili sono rari a livello mondiale
LECCE – La buona sanità opposta ai mille casi di presunta malasanità che spesso riempiono le cronache, salvo poi rivelarsi, a volte, vere e proprie bolle di sapone che scoppiano senza lasciare traccia di sé. Sarà invece ricordato a lungo il lavoro complesso, che ha visto all’opera ben tre equipe mediche, ognuna attiva sulla stessa paziente per le proprie mansioni e in via simultanea.
A serio rischio era una donna di 62 anni di Brindisi, per un caso clinico talmente delicato di tumore renale e trombosi cavale fino all’atrio destro, da risultare il primo del genere mai operato presso l’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce.
La patologia, a livello mondiale, spiegano i dirigenti dell’Asl leccese, è talmente rara che in Italia di interventi simili se ne svolgono appena uno o due all’anno.
Come spesso accade, la perfetta riuscita di un caso, anche molto delicato, nasce dalle prime battute, ovvero da una diagnosi brillante e tempestiva. E in questo caso un ruolo determinante hanno giocato Cosimo Greco, ecografista in cardiochirurgia e Luca Giordano, del servizio di radiodiagnostica del “Fazzi”, (reparto diretto da Massimo Torsello). Sono loro ad aver scoperto un tumore renale destro con interessamento trombotico dell’atrio.
A quel punto è intervenuto Salvatore Zaccaria, responsabile di cardiochirurgia, che ha subito preso contatto con Antonio Filoni, direttore di urologia. Dopo aver visionato insieme i radiogrammi Tac, i due specialisti hanno immediatamente imbastito una squadra multidisciplinare per risolvere il difficile problema.
Dopo la discussione e l’esecuzione degli esami pre-operatori, il 22 ottobre l’equipe composta dal Filoni e da suo collaboratore, l’urologo Giuseppe Caretto, più da Zaccaria con i suoi assistenti, i cardiochirurghi Giuseppe Scrascia e Antonio Scotto, e da Salvatore Tondo (chirurgo vascolare), si sono ritrovati nella sala operatoria di cardiochirurgia. Qui hanno eseguito l’intervento di asportazione della massa renale con il trombo in vena cava inferiore e la massa nell’atrio destro, a cuore fermo e in ipotermia profonda con arresto totale di circolo.
L’intervento è durato circa sette ore e s’è svolto sotto la sorveglianza degli anestesisti Andrea Circella e Luigi De Razza, coordinati da Gateano Centonze, e con la collaborazione degli infermieri strumentisti Napoli, Martena, Loderini e Leone, i tecnici della circolazione extracorporea Balena e Falcone e l’intero personale sala operatoria, coordinati dalla caposala di cardiochirurgia, Agnese Melechì.
Dopo sole venti ore di terapia intensiva la paziente 62enne è ritornata nella propria sala di degenza ed è stata subito in grado di ringraziare il personale. Spiegano dall’Asl: “L’esecuzione di un intervento chirurgico radicale con l’asportazione contemporanea della neoplasia primitiva localizzata al rene insieme alla voluminosa trombosi neoplastica che dal rene risaliva, in sede retro e sovraepatica nella vena cava inferiore per arrivare fino al cuore (atrio destro), non è comune e la morte in caso di distacco del trombo può avvenire in pochi minuti”.
Il contemporaneo interessamento di rene, fegato, vena cava inferiore e cuore ha reso necessario un approccio multidisciplinare: cardiochirurghi (con circolazione extracorporea per asportare il grosso trombo presente nel cuore), chirurghi vascolari e urologi. L’intervento ha richiesto inoltre la liberazione della massa dal fegato, di tutta la vena cava inferiore retro epatica, dove avviene il deflusso del sangue del fegato.
Per questo, parte dell’intervento è stato eseguito in circolazione extracorporea, per prevenire una massiccia emorragia durante la fase di asportazione del grosso trombo. Il personale medico e paramedico della terapia intensiva di cardiochirurgia (coordinato dal dottor Centonze e dal caposala Rocco Cannazza) si è poi alternato per garantire un adeguato risveglio della paziente. Il reparto di cardiochirurgia, per garantirne le cure successive, ha concluso l’opera in modo favorevole.