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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio Giannone, il "complice" di Monaco dall'ergastolo a soli quattro anni

Franco Ventura, di Cassano d'Adda, era stato accusato in primo grado di concorso nell'omicidio di Antonio Giannone, avvenuto nel 2009. Ma in appello la sentenza è stata clamorosamente riformata in favoreggiamento personale. "Coda" disse che gli fornì la pistola

LECCE – Colpo di scena nel processo d’appello a carico di Franco Ventura, 42enne di Cassano d'Adda, in provincia di Milano, accusato di concorso nell’omicidio di Antonio Giannone, il venticinquenne ucciso con due colpi alla testa il 6 aprile 2009 nei pressi dell'appartamento della sua compagna a Lecce (in una palazzina  della zona 167).

La sentenza nei confronti di Ventura, condannato all’ergastolo in primo grado, è stata riformata con una pena a 4 anni di reclusione per il solo reato di favoreggiamento personale. L’accusa, rappresentata dal procuratore generale Antonio Maruccia, aveva chiesto la conferma dell’ergastolo.

Quello di Antonio Giannone fu un omicidio eseguito da Giampaolo Monaco, alias “Gianni Coda”, ex killer della Scu (nell foto in basso, n.d.r.), evaso ai primi di aprile del 2009 da un appartamento di Torino, dov'era segretamente recluso ai domiciliari, poiché collaboratore di giustizia, proprio per assassinare il 25enne. Secondo l’ipotesi accusatoria sarebbe stato proprio Ventura a procurargli l'arma del delitto e offrirgli protezione durante la latitanza.
Lo stesso Monaco, elemento vicino al clan Cerfeda e ritenuto da fonti investigative uno degli elementi più pericolosi della Sacra corona unita, aveva raccontato ai giudici nel corso di una precedente udienza, senza alcuna emozione, tutti i dettagli di un omicidio preparato in ogni particolare. Ad armare la mano dell’uomo sarebbe stata l’ennesima “infamità” ai danni del fratello, Mirko Monaco: “Mi telefonò dicendomi che Giannone lo aveva picchiato rompendogli il naso. Io gli dissi che non si sarebbe dovuto più preoccupare, avrei pensato a tutto io”.

“Coda” si sarebbe subito adoperato per trovare un’arma, telefonando ai suoi vecchi compagni di “sventura”, come lui stesso gli ha definiti. Monaco aveva quindi raccontato di aver contattato Franco Ventura, conosciuto tempo addietro nel carcere di Ferrara, spiegandogli che voleva vendicare la sua famiglia. “Ventura – aveva dichiarato il teste – si è subito offerto di aiutarmi, anche nell’eseguire l'omicidio, ma io ho rifiutato. Allora lui mi ha raggiunto a Torino, dove mi trovavo in regime di detenzione domiciliare, per consegnarmi l'arma, una calibro 9 parabellum”.

Una tesi (quella accusatoria) e un racconto che non sono condivisi dai giudici della Corte d’assise d’appello (presidente Vincenzo Scardia, a latere  Antonio del Coco), che ha assolto l’imputato dai reati di concorso in omicidio e di detenzione e cessione di arma da fuoco.

Monaco dunque, anche se bisognerà attendere il deposito delle motivazioni della sentenza per comprendere le ragioni di questo verdetto, potrebbe avere coperto qualcuno a lui vicino. Una persona che, oltre a fornirgli l’arma, potrebbe averlo accompagnato in quella tragica sera di sangue e vendetta.
Il killer, però ha raccontato di essere partito il 5 aprile 2009 in treno per Lecce con il fratello. La sera del giorno dopo si sarebbe quindi recato da solo, con la macchina della sorella, a casa della compagna di Giannone, indicatagli sempre dal fratello.

Giampaolo Monaco.-4-2“L'intenzione – aveva aggiunto tranquillamente Monaco – era quella di ammazzarli tutti, ma una volta salito con l'ascensore al sesto piano della palazzina in via Terni, alla periferia di Lecce, mi sono trovato di fronte Giannone. Ho sparato due colpi: il primo al mento, il secondo quando era già a terra per finirlo”. La mamma della vittima, sconvolta dal terribile racconto, aveva abbandonato l’aula.
La testimonianza era poi proseguita con i dettagli della fuga da Lecce. Monaco a vrebbe raggiunto Ventura a Fano, dove i due si sarebbero liberati dell’arma. Il presunto complice gli avrebbe anche procurato una nuova carta d'identità. Dopo alcuni giorni il killer avrebbe raggiunto Bologna, dove fu poi arrestato, dagli agenti della Squadra mobile di Lecce in collaborazione con gli agenti emiliani, il 4 maggio del 2009. Subito dopo la cattura rese piena confessione dell’omicidio.

Una confessione ripetuta poi in aula, con il racconto di una vendetta terribile e spietata, secondo la fredda logica delle leggi criminali. L’imputato è assistito dall’avvocato Francesca Cramis. I genitori e il fratello della vittima si sono costituti parte civile (in entrambi i processi) con l’avvocato Francesco Maggiore.

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