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Cronaca

Capodanno, occhio ai rischi: le insidie dei fuochi spiegate dagli artificieri

Un tempo c'era il pallone di Maradona, oggi Quota 100, ma il discorso non cambia: alcuni prodotti possono essere devastanti

LECCE – “Usate la testa, non rovinate e non vi fare rovinare la festa”. Salvatore Giannini, luogotenente carica speciale dell’Arma, artificiere di cui è anche superfluo citare l’esperienza consolidata sul campo, lo dice in rima ogni volta che si presenta nelle scuole per le speciali lezioni che da oltre cinque anni i carabinieri di Lecce portano avanti per spiegare i rischi correlati al cattivo uso dei fuochi pirotecnici.

Così, probabilmente, il concetto si stampa meglio nella memoria. Perché è sacrosanto divertirsi, ma bisogna sempre adottare tutte le cautele necessarie, seguire alla lettera le indicazioni sulle etichette, evitare come la peste i manufatti senza alcuna certificazione e, in generale, i residui inesplosi che si possono trovare qualche volta lungo le strade il giorno dopo gli spari di San Silvestro (o qualche festa o cerimonia). Alcuni sono davvero insidiosi e ci si può rimettere una mano, un occhio, nei casi peggiori la vita stessa. E che il petardone più ricercato si chiamasse un tempo pallone di Maradona, attualizzato oggi in Quota 100, la solfa non cambia: certi giochi pericolosi, meglio scansarli.

Forse, è un po’ merito anche di quest’attività formativa rivolta soprattutto ai ragazzi, fra i più entusiasti quando si tratta di metter mano a raudi e affini, se i dati sui ferimenti più seri sono sensibilmente calati. Nel 2017, in provincia di Lecce se n’erano verificati cinque; l’anno scorso, soltanto uno. Il comandante Giannini, che quest’anno con i suoi uomini ha fatto visita a dieci istituti di tutto il Salento, fra le varie cose, ricorda spesso ai ragazzi che l’unica maniera intelligente per difendersi dalle esplosioni è incrementare la distanza.

Video | Consigli e moniti dell'artificiere dei carabinieri

Sembrerà quasi banale, ma non ci sono molte alternative, se non l’uso di un pratico senso logico. Di sicuro, la capacità di produrre ferite in corrispondenza del punto di esplosione è molto alta e diventa sempre più bassa man mano che ci si allontana. E una cosa è importante annotare: non esistono esplosioni innocue in senso assoluto al di fuori della cosiddetta zona degli effetti. Anche l’esplosione del più piccolo petardo può arrecare la sua buona dose di conseguenze nefaste. Per esempio, danni a un occhio, se troppo vicino.

Ogni famiglia che si rispetti annovera sempre qualcuno che si ritiene una sorta di mago dei fuochi d’artificio, quasi fosse escluso da ogni possibile effetto, fin troppo spavaldo nel maneggiarli. Ma la verità è che nemmeno i professionisti che operano nelle fabbriche, con tanto di abilitazione, sono immuni da pericoli. E qui parlano le cronache, che il comandante cita spesso nelle sue visite.

Anno 2013, Città Sant’Angelo (Pescara): quattro morti e tre feriti in deposito di materiale ludico. Stesso anno, estate, Lecce, festa di Sant’Oronzo: tre operatori professionali feriti in un incidente mentre stavano per allestire i fuochi per la tradizionale chiusura, uno dei quali risultò particolarmente grave. Ancora, 2014: tre morti e quattro feriti a Tagliacozzo (L’Aquila). Poi, Modugno, 2015 l’evento più catastrofico degli ultimi anni, l’esplosione di una fabbrica con annessa rivendita: dieci morti. Nel 2017, a San Severo, un morto e un ferito grave. Ad Arnesano, e qui la memoria è ancora fresca, nel 2018, due morti, fra cui un ragazzo di nemmeno 20 anni che fra le mura di quella fabbrica c’era praticamente nato. Infine, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), appena un mese addietro: cinque morti.

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Quando è il momento degli acquisti, è necessario osservare la classificazione, che serve a stabilire la pericolosità. F1 indica un potenziale estremamente basso e simili fuochi possono essere acquistati anche da ragazzi di 14 anni. F2, un potenziale basso, per il quale occorre la maggiore età. F3 un potenziale medio che necessita di nulla osta o di un porto d’armi. F4, infine, è il potenziale elevato riservato soltanto ai professionisti. E la classificazione non è un dato fine a se stesso. Serve a stabilire anche alcuni dettagli fondamentali, come il raggio di sicurezza. I fuochi F1 ne hanno uno di 1 metro. Per gli F2, occorre rispettare un diametro di 8 metri. Per gli F3 si sale fino a 15 metri. Gli F4 professionali non ne hanno uno preciso, ma è da stabilirsi di volta in volta.

Osservare su ogni manufatto l’indicazione è molto importante. L’etichetta è obbligatoria e serve a distinguere oggetti il cui incartamento può anche trarre in inganno. Ciò che conta è la sostanza attiva. Per esempio, i bengala a fiamma si presentano fisicamente tutti uguali o quasi, ecco perché la categoria fa la differenza. Immaginarsi un bambino con un F3 in mano. Gli effetti possono essere devastanti.

Una cosa è certa: non bisogna mai cedere alla tentazione di acquistare – ovviamente sottobanco – gli artifizi non classificati. Non solo non  si conosce mai perfettamente il quantitativo di polvere pirica e, quindi, non si ha certezza su quale debba essere il raggio di sicurezza, ma può capitare che siano confezionati con materiali incompatibili. Se, per esempio, è contenuta plastica troppo rigida che immagazzina molta energia cinetica, le schegge si possono proiettare anche a grande distanza, con conseguenze facilmente immaginabili. E quando il danno è fatto, nessuno può ripagare. Con questi prodotti clandestini è quasi impossibile risalire alla catena delle responsabilità, da chi li commercializza, fino a chi li produce.

Purtroppo, va detto che fra le cause più comuni di incidenti c’è proprio la superficialità, il fatto di non tenere conto delle istruzioni per l’uso. Se per alcuni fuochi il produttore ha impresso la scritta “usare solo in luoghi aperti”, un motivo ci sarà. L’hanno capito a loro spese le persone rappresentate in uno dei video che gli artificieri proiettano nelle scuole, quello in cui si vede un fuoco di categoria F2 (con raggio di sicurezza minimo di 8 metri) incautamente acceso in una stanza di una materna per una festa dell’ultimo dell’anno, dove forse nemmeno vi sono 8 metri da una parete all’altra. Tutti assiepati intorno, ma quando iniziano i botti, si scatena il panico.

Un consiglio spassionato è di non modificare mai i manufatti, mescolando la polvere. Il prodotto che ne scaturisce, non ha una valutazione precisa del diametro degli effetti. Tutte le volte – ricorda il comandante - può esservi qualche sorpresa (magari molto spiacevole). “Due petardi fatti scoppiare contemporaneamente hanno come minimo l’effetto doppio, in realtà le esplosioni non rispondono a questa logica in maniera precisa: raddoppiando il materiale – spiega il luogotenente Giannini -, il raggio d’azione può risultare anche molto superiore al doppio”. E non solo. Usando contenitori diversi rispetto a quelli in cui i petardi sono incartati, come lattine di metallo o bottiglie di vetro, si rischia di produrre schegge impazzite e molto, molto pericolose.

Attenzione, infine, alla combustione incompleta. Può accadere, per esempio, di trovare parti di un manufatto più grosso che si sono staccate e che presentano dei laccetti, simili alle micce di sicurezza. A differenza di queste ultime, che danno la possibilità di allontanarsi (o lanciare i fuochi) entro 5 o 6 secondi, quei laccetti erano in origine usati per passare la fiamma da un razzo all’altro. Bruciano subito, in meno di un secondo. Stessa cosa dicasi per i razzi che, una volta arrivati in aria a una decina di metri, dovrebbero esplodere, e invece ricadono senza funzionare. Possono presentare anche questi una piccola miccia che innesca l’esplosione al primo sentore di calore. E se l’esplosione avviene in mano, sono guai.

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