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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Reato di tortura: la prima condanna a Milano? Falso: il primato è a Lecce

La vicenda di Varese mistificata a livello nazionale. E nell'assenza di verifica e nella fretta, muore l'obiettivo del giornalismo

Varese, quattro minori picchiano 15enne. Per la prima volta, applicato il reato di tortura in Italia.

Quando ho letto il primo titolo, ho inarcato un sopracciglio. Scorrendo il testo, ho avuto la conferma. Che svirgolata, ho pensato, per un giornale così importante (inutile dire quale: scopriremo a breve che siamo nell’ordine del 99,9 per cento dei notiziari, Ndr). Allora, ho iniziato a virare ovunque sulla Rete, a leggere dappertutto. E fra testatine e testatone, ho scosso la mia, di testa, incredulo. No, no, devo avere le traveggole. Ho afferrato il telecomando e acceso la tv per guardare i tg nazionali. Su tutti i canali. Tutti. E da un sopracciglio inarcato, sono passato agli occhi sgranati.

Possibile?

Così, sono andato sui giornali locali. Sul mio, ma anche sugli altri. Ho riletto tutto e avuto una prima conferma. Non ricordavo male. Ma ho voluto condividere il dubbio e fatto qualche telefonata, mandato messaggi a colleghi e addetti ai lavori. Le risposte, hanno consolidato la mia convinzione. E allora, possibile. Certo. Tutto falso. O, meglio, mezza verità, mancante dell’altra parte e di note esplicative a margine. Quelle che rendono il quadro più chiaro, completo. Quelle che gratificano la storia.  

Per sintetizzare, sì, è stata la prima volta, ma nell’ambito di un processo a minorenni. Non la prima volta in assoluto. E c’è una differenza fondamentale che finisce per uccidere la verità oggettiva, trapiantando nel pubblico una convinzione errata. Mi sono detto: forse queste righe non avranno effetto, ma ci devo provare, anche se non sono nessuno. Devo dirlo, perché se non si lancia mai un sasso nello stagno, non si crea quell’onda che smuove verso la riflessione.

Non è una banalità, anche se so già che nessuno avvertirà la necessità di rettificare. In fin dei conti, l’aspetto legato alla cronaca, il fatto in sé, sostanziale (in questo caso l’aggressione e le condanne che ne sono scaturite) è stato accertato. Ma è comunque un campanello d’allarme importante sul versante dello stato di salute del giornalismo. Perché se è vero che la missione del cronista è cercare la versione che sia quanto più vicina alla verità, con inappuntabile rigore, qui siamo di fronte all’apoteosi globale della superficialità (leggasi: assenza totale di ricerca e approfondimento), unita a obnubilamento mentale davanti al possibile titolo a effetto. Che non è la condanna dei bulli (fatto sempre più usuale, ahinoi, quasi destinato a trafiletto), ma quel richiamo alla “prima volta” sulla “tortura”. Giornalisticamente impeccabile. Peccato che non sia vero.

E’ una trappola nella quale cadiamo spesso tutti noi che facciamo questo mestieraccio. Mi ci metto anch’io, ovviamente, insieme a tutti gli altri giornalini (come LeccePrima) e giornaloni (il resto del mondo). Non siamo certo avulsi dall’errore e, a volte, dal sensazionalismo. Ma i fatti devono aderire alla realtà. Altrimenti, si tratta di pura mistificazione. E, credetemi, non trovo parole diverse.

E così, chi l’ha detto che la prima volta non si scorda mai? Nell’era dell’Homo Interneticus, anche i vecchi motti popolari vanno a farsi friggere. La rete avvolge con la sua vischiosa patina virtuale il globo intero, divorando ogni cosa nell’ossessione di vomitare informazioni frammentarie che si sommano ad altre informazioni frammentarie, fino a bruciare tutto come fiamme che ardono impietose le sterpaglie di estate, seppellire – ed è grave - la memoria storica. Persino quella a breve termine, per la quale la verifica è più semplice.

Il giornalismo stesso rischia in questo modo di perdere spessore e credibilità. Nell’assenza di riscontro, si dissolve la qualità, naufraga la missione del cronista, si cede il fianco all’arma già in mano da tempo a chi odia l’indipendenza della stampa e non dorme la notte per mettere il bavaglio. Nella mancanza di controllo, si fa largo l’inquietante esercito di repliche della stessa notizia, ribattuta identica mille volte. Come un virus senza antidoto. Qualcosa da evitare. Sempre. Ma che pure accade. Troppo spesso.

Così, si contano davvero sulle dita della mano quelli che hanno scritto, almeno nel testo, che la sentenza è stata la prima riguardante minori. Forse, su una o due dita soltanto. Una sorta di intuizione. Salvandosi, più o meno, in corner. Andando a leggere, infatti, si vede scritto praticamente ovunque (una replica della replica della replica) come la conferma sul fatto che sia stata la prima volta, sia arrivata direttamente dal procuratore Ciro Cascone del tribunale dei minori di Milano.

Ma è proprio qui che s’è innescato il cortocircuito. Cascone parlava del suo ufficio. Dei minori, appunto. Rapportandosi, quindi, agli istituti analoghi. Tirando in ballo, subito dopo, nelle dichiarazioni raccolte, anche gli indagati di Manduria: sei minori e due maggiorenni. Deve essere saltato in quel momento qualche passaggio, ma nessuno se n’è curato, fermandosi a quella “prima volta”. Perché faceva comodo, perché l’ha detto il procuratore e quindi era vero a prescindere (ma il procuratore è umano e quindi fallibile). Perché fare una ricerca costa fatica.

E allora, no, diamo a Cesare quel che è di Cesare. E a Lecce quel che è di Lecce. La parola “tortura” è risuonata nelle aule di tribunale salentine – prima volta in Italia - non una, ma addirittura tre volte, da quando è stato introdotto il reato nell’ordinamento italiano. Ogni volta, nell’ambito della stessa vicenda giudiziaria. Che, come qualcuno forse ricorderà, si è consumata a Porto Cesareo.

A giugno del 2018, il primo, veramente storico, verdetto, ai danni di un giovane appena maggiorenne che aveva chiesto l’abbreviato.  Fu del gup Giovanni Gallo. Nel gennaio scorso, il secondo, per i due presunti complici che erano andati in ordinario. La terza, in appello, sempre per chi aveva richiesto l’abbreviato. Una conferma sostanziale, rispetto alla sentenza di primo grado, seppure con una riduzione della pena.

Non interessa, qui, ricordare i nomi dei coinvolti o la torbida faccenda. Chi volesse approfondire, o verificare nel dettaglio che non siamo certo noi a mentire, non dovrebbe fare altro che cliccare sui link delle notizie a riguardo, che restano di scottante attualità, e farsi un’infarinatura.

Interessa, qui, restituire solo la verità dei fatti alla storia con una piccola opera di debunking, e, soprattutto, sperare che tutti noi che abbiamo scelto come mestiere quello di montare i mattoni della storia, ogni tanto, prendessimo fiato rispetto alla rabbiosa ricerca di uno scoop, la compulsiva necessità di non tirare tardi rispetto al concorrente già ricco di notizie, l’ansia da prestazione.

Meglio “bucare”, credetemi, che scrivere castronerie.

***

P.S.: magari non c'è da vantarsi del primato, perché non è un record sportivo di cui andare fieri. Si parla di tortura, non di gol in una finale di calcio. Ma va accordato alla magistratura leccese di aver avuto il coraggio nell'applicazione, senza remore, di una norma di recente intoduzione, molto discussa, in una vicenda davvero delicata, e senza un precedente alle spalle. Che dire? "E' la storia, non colui che la racconta" (Stephen King, "Stagioni diverse").  

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